Non esiste un «Pianeta B»

Nella zona dell’Oceano Pacifico che si estende tra la città di San Francisco e le isole Hawaii galleggia la più grande chiazza di rifiuti del pianeta (pari quasi a tre volte la Francia!). Si tratta della Great Pacific garbage patch, scoperta nel 1997 dal velista Charles Moore, durante una gara in barca attraverso il North Pacific Subtropical Gyre.

La sua vastità l’ha fatta assurgere addirittura a vera e propria località, grazie anche all’opera di due intraprendenti pubblicitari che hanno depositato la richiesta di riconoscimento col nome di Trash Isles e ne hanno nominato primo cittadino l’ex vicepresidente statunitense Al Gore, da sempre impegnato nella lotta contro i cambiamenti climatici e l’inquinamento del pianeta. Al contrario di quello che si può pensare, solamente l’8 percento della superficie  galleggiante della patch risulta essere di materiale sintetico di consumo mentre tutto il resto sarebbe costituito da attrezzatura da pesca abbandonata.

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Boyan Slat, un giovane olandese, ha fondato un’organizzazione, chiamata Ocean Cleanup, col solo scopo di ripulire l’area. Costo dell’operazione, 32 milioni di dollari. Boyan, in particolare, ha realizzato una massiccia barriera galleggiante, lunga 600 metri, nota come System 001.

La struttura è stata collegata a una sacca, posta a 3 metri di profondità, un meccanismo simile a quello delle reti da pesca, volto a raccogliere scarti di plastica a partire da 1 cm di diametro. La barriera, dotata di tecnologia di trasmissione della posizione per impedire alle navi di imbattersi in essa, è entrata in funzione lo scorso settembre e terminerà la sua missione nel 2020.

I ricercatori hanno previsto che grazie a Ocean Cleanup si potranno  rimuovere il 50 percento dei rifiuti entro 5 anni ed il 90 percento entro il 2040. Tuttavia, gli ambientalisti hanno espresso preoccupazione per l’impatto che un simile sistema potrebbe avere sulla vita marina e d’altra parte c’è chi ritiene che l’attenzione dovrebbe concentrarsi più che altro su una politica e su una legislazione forti in materia di riduzione della plastica usa e getta.

Tra questi ultimi spicca il nome di Alex Bellini, esploratore e mental coach italiano, divenuto famoso per le sue imprese estreme tra le quali ricordiamo la traversata oceanica a remi compiuta nel 2008, da Genova al Brasile e l’attraversamento con sci e slitta della Vatnajokull definita la cappa di ghiaccio più grande per volume in Europa. Alex è adesso alle prese con una nuova importante missione chiamata “10 rivers 1 ocean”.

L’esploratore, a bordo di imbarcazioni ogni volta create con materiale di scarto e assemblato sul posto, navigherà le acque dei dieci fiumi  più inquinati dalla plastica di tutto il pianeta per raccontare una storia che molti ignorano: oltre l’80 percento della plastica che inquina gli Oceani ha origine dai fiumi. In particolare, dopo aver visitato il Gange, il Niger, il Nilo, l’Hai He, il Fiume Giallo, lo Yangtze, l’Amur, il Fiume delle Perle, il Mekong e l’Indo, sarà la volta, nel mese di luglio, della Pacific Garbage Patch.

«Lo faccio per smuovere le coscienze», dice Alex, «perché ancora oggi  molta gente non conosce l’enormità del problema o forse lo ignora; perché se non facciamo nulla le previsioni affermano che entro il 2050 la plastica potrebbe pesare più di tutte le specie marine. Non è solo un problema ecologico o economico. È un problema di salute, della salute di tutti.

Lo faccio perché siamo i soli responsabili e gli unici che possono fare qualcosa. Lo faccio perché non esiste un Planet B. Ci capita di essere così tanto immersi nei problemi, da non riuscire neanche ad immaginare un rimedio. Nella mia avventura mia allontanerò dal cuore del dramma della plastica per cercare una soluzione, che può arrivare solo osservando da lontano il nostro unico e grande Oceano».