Malattie psichiche in carcere: ultime novità dalla Corte Costituzionale
Di Paolazzurra Polizzotto – In questi giorni la Corte Costituzionale con la sentenza n. 99/2019, ha dichiarato ufficialmente: «D’ora in poi, se durante la carcerazione si manifesta una grave malattia di tipo psichiatrico, il giudice potrà disporre che il detenuto venga curato fuori dal carcere e quindi potrà concedergli, anche quando la pena residua è superiore a quattro anni, la misura alternativa della detenzione domiciliare “umanitaria”, o “in deroga”, così come già accade per le gravi malattie di tipo fisico.
In particolare, il giudice dovrà valutare se la malattia psichica sopravvenuta sia compatibile con la permanenza in carcere del detenuto oppure richieda il suo trasferimento in luoghi esterni (abitazione o luoghi pubblici di cura, assistenza o accoglienza) con modalità che garantiscano la salute, ma anche la sicurezza. Questa valutazione dovrà quindi tener conto di vari elementi: il quadro clinico del detenuto, la sua pericolosità, le sue condizioni sociali e familiari, le strutture e i servizi di cura offerti dal carcere, le esigenze di tutela degli altri detenuti e di tutto il personale che opera nell’istituto penitenziario, la necessità di salvaguardare la sicurezza collettiva.»
Il gravissimo problema delle malattie psichiche all’interno delle carceri italiane è frequentissimo, infatti, come dimostrano gli ultimi dati del D.A.P. (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) l’utilizzo di psicofarmaci serve a contenere problemi a cui le strutture penitenziarie non sanno più rispondere o forse non sono mai state in grado di farlo.
Questo si verifica sia nelle case circondariali che in quelle di reclusione. Nelle prime i detenuti restano per poco tempo, quindi fanno subito richiesta di psicofarmaci per il disagio del primo impatto con l’ambiente detentivo. Nelle case di reclusione, invece, ci sono persone detenute da molti anni che prendono psicofarmaci abitualmente per vincere situazioni di tensione: la loro dipendenza dagli psicofarmaci è più grave perché assumono pillole non per il traumatico impatto con un nuovo ambiente, ma come stile di vita, così facendo, non si libereranno di questa dipendenza nemmeno quando usciranno.
Alla luce della chiusura definitiva degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) a opera del decreto legge n. 211/2011 convertito in legge n. 9/2012, che ricalcavano di gran lunga il modello del manicomio criminale, nel 2015 sono state istituite in sostituzione degli OPG delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, le c.d. REMS, che accolgono autori di reato affetti da disturbi mentali.
Questa sentenza oggi, compie un piccolo passo in avanti perché apre uno spiraglio per tutte le detenute e i detenuti che soffrendo di disturbi psichici possano essere non soltanto curati fuori dalla struttura penitenziaria, permettendo in questo modo di affrontare la malattia o il disturbo in maniera totalmente diversa, ma soprattutto attraverso il contatto con gli altri e conseguentemente le relazioni con gli altri (familiari, operatori sanitari etc).
Uscendo fuori dalla struttura si inizia a respirare un’aria nuova che permette al soggetto, nonostante il suo stato detentivo e di salute, di iniziare un percorso che gli permetta di guardare e pensare al suo futuro in modo diverso, perché in fondo tutti noi abbiamo sempre bisogno di una seconda possibilità.
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