I lasciti immateriali dopo via Turba

Di Alice Antonacci – «Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni».

Non è necessario essere tanti per commettere qualcosa di intrisecamente errato, scorretto, e punibile. Oggi, come ieri, si è convinti che avere la forza e dunque la possibilità di fare qualcosa significhi essere legittimati a farlo. E invece no. Se io alzo la voce più di te, allora sono più forte e tu non puoi farmi nulla: sbagliato.

«L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.(…). 

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego». (art. 416 bis c.p.)

Pio_la_torre_MPio La Torre conosceva il fenomeno mafioso, lo aveva incontrato diverse volte vivendo per le strade della sua città, nelle campagne vicine della ridente conca d’oro in cui era cresciuto, e aveva capito una cosa che può apparire semplice ma alla quale era necessario dare forma legislativa, e cioè che la mafia si serve delle cose, della ‘roba’ Verghiana, e che colpire quella significava colpire la macchina che le permetteva di andare avanti senza troppo disturbo.

«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso».

Quando fai una conquista, se la fai solo ed unicamente per te stesso, non serve a molto, potrai dimenticarla, potrai non averne più bisogno, per te il problema sarà forse risolto. Ma se quella conquista la espandi, la condividi, la rendi fruibile, la fai diventare uno scambio, allora si che cresce, produce frutti, che rendono possibile e meno astratta l’idea che i fenomeni possano essere individuati, fermati, stroncati ed infine eradicati.

Sono passati 37 anni dall’assassinio di Pio la Torre e Rosario di Salvo in via Turba a Palermo, e molto è stato scritto sulla figura di Pio, come personaggio politico, come figura del Pci.

Nasce in una famiglia di contadini che lavorava la terra per sopravvivere, darsi un futuro. Durante il periodo della scuola, Pio lavora e studia insieme per aiutare la famiglia. Sente sin da giovane la necessità di impegnarsi attivamente e concretamente a fianco dei braccianti affinché vengano applicati i decreti Gullo e possano esserci condizioni migliori per i contadini, accanto ai quali è cresciuto e con i quali porta avanti battaglie che rispondono all’esigenza di vedersi realizzare una giustizia sociale, in cui possano essere rispettati i diritti dei più deboli.

pio_latorre_camera_lavoroNel ’45 si iscrive al Partito Comunista e poi contribuisce, partecipando attivamente, alle lotte sindacali della Federterra, portando avanti e mostrando il proprio impegno politico che lo porterà a divenire Consigliere comunale, segretario regionale della Cgil, poi del Pci siciliano, membro dell’ARS e poi membro del Parlamento ed infine a tornare in Sicilia nell’81.

Pio La Torre ha una grande conoscenza del fenomeno mafioso e del suo sistema di potere, consapevole delle sue trasformazioni, dalla mafia agricola e del latifondo, combattuta negli anni dell’adolescenza, alla mafia urbana e dell’edilizia che, mediante appalti pilotati, si era trasformata, grazie alle connivenze con le dirigenze politiche locali, il cosiddetto “Sacco di Palermo”, fino alla mafia imprenditrice dedita al traffico internazionale di droga legata all’alta finanza.

Fa i nomi e i cognomi dei conniventi politici, famosi i suoi giudizi su Vito Ciancimino, prima assessore ai lavori pubblici e poi sindaco del capoluogo siciliano fino al 1975. Dalla sua analisi del rapporto tra il sistema di potere mafioso e pezzi dello Stato emerge la sua convinzione che «la compenetrazione è avvenuta storicamente come risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti (mafia e potere politico)… La mafia è quindi un fenomeno di classi dirigenti».

Enrico_berlinguer_imm2Il suo impegno può essere considerato il suo biglietto da visita, tanto che Berlinguer dirà di lui: «La Torre non era un uomo da limitarsi ai discorsi e alle analisi, era un uomo che faceva sul serio, per questo lo hanno ucciso».

Faceva sul serio. E la sua abilità di leggere e colpire in maniera mirata e diretta al cuore del problema è confluita nella proposta di quella che è diventata la c.d. legge Rognoni-La Torre, che ha introdotto nel sistema penale italiano la previsione del reato di associazione di stampo mafioso e che può considerarsi un lascito della sua attività, uno strumento concreto per colpire un nervo più o meno scoperto del sistema mafioso.

Pensando a cosa abbia trasmesso questa figura, e insieme a lui altre vittime della mafia, l’espressione che mi viene da scrivere è: concreto impegno per un futuro speranzoso. Concreto come le persone che si sono impegnate e si impegnano in maniera solida per scardinare un sistema.

L’attività di Pio è stata spesso definita schietta, senza fronzoli e ritengo che questo sia un altro dei lasciti da tenere a mente e da cui farci ispirare per muoverci nella realtà di oggi. Continuare ad indagare i fenomeni, interrogarsi, discutere per trovare soluzioni.