Neanche il carcere fascista la fermò: la storia di Adele Bei

Adele Bei, una delle 21 “madri costituenti“, nacque a Cantiano il 4 Maggio del 1904. Sin dall’età adolescenziale mostrò profondo interesse per la politica, probabilmente grazie all’influenza della sua famiglia, dedita alla politica in modo piuttosto fermo e assiduo. Nel 1922 conobbe Domenico Ciufoli, che sposò da li a poco. Ciufoli, avendo abbandonato il Partito Socialista, insieme ad Antonio Gramsci, Amedeo Bordiga, Pietro Secchia e Umberto Terracini si occupò della fondazione del Partito Comunista d’Italia, al quale aderì la stessa Adele nel 1925.

Al fine di riuscire a mantenere i contatti e ricevere informazioni da parte di militanti antifascisti, Adele Bei si diresse più volte in Francia, dove si trasferì insieme al marito, qualche anno dopo, per sfuggire all’arresto da parte dei fascisti. Ma nel 1933, nel tentativo di diffondere in Italia informazioni, documenti e materiale antifascista, venne arrestata a Roma, processata e condannata a 18 anni di reclusione dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Dopo otto anni trascorsi tra le Mantellate di Roma e il carcere di Perugia, viene mandata al confino a Ventotene.

Adele Bei, ricordando quel periodo, ebbe a dire che a Ventotene si viveva in «condizioni tragiche: mancava il cibo, si faceva proprio la fame e da questo punto di vista si stava peggio che in carcere, dove, bene o male, un piatto di minestra, magari fredda, l’avevo sempre avuta: durante l’anno e mezzo che rimasi a Ventotene dimagrii di oltre dieci chili». Venne liberata l’ 8 Settembre del 1943 e decise di partecipare alla lotta partigiana, coinvolgendo un numero vastissimo di donne, molte delle quali persero la vita in diversi assalti.

Molti anni dopo Adele Bei racconterà: «Lavoravamo soprattutto piene di buona volontà perché di esperienza non ce n’era molta. Uscivamo da un ventennio di fascismo e di dittatura e quindi solo noi più anziane avevamo un minimo di esperienza delle lotte del passato, cioè precedenti al ventennio fascista. Ci trovavamo di fronte ad una situazione completamente nuova e non solo vi era la necessità di abbattere definitivamente il fascismo ma anche quella di cacciare i tedeschi che occupavano l’Italia».

Nel dopoguerra si occupò della condizione carceraria e dei diritti delle donne e fu responsabile della Commissione Femminile Nazionale della CGIL e dirigente dell’Unione Donne Italiane. Nel 1946 venne eletta all’Assemblea Costituente.

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Lavorò in diverse commissioni parlamentari, in particolare nella III Commissione. Manifestò grandissimo interesse, oltre che per i diritti delle donne, anche per le questioni lavorative, previdenziali, per quelle relative al commercio e agli affari, ma anche attinenti alla difesa e alle finanze. Adele Bei fu inoltre eletta senatrice di diritto per i suoi meriti antifascisti. Fu anche sindacalista e si mise alla guida del sindacato delle tabacchine.

Bei fu tante cose. Ricoprì ruoli importantissimi. Ma, sopra ogni cosa, fu una donna virtuosa, coraggiosa. Una donna che non si è mai arresa e ha lottato fino alla fine credendo fermamente nella possibilità di cambiare le cose. Ed è proprio il credere in qualcosa che ne rende possibile la realizzazione.