Joe Biden, il più indeciso e popolare tra gli Ammazza-Trump

Di Gabriele ImperialeBianco, democratico, avvocato, ha lasciato la giurisprudenza per la politica nel 1972, tre anni dopo la sua ammissione all’albo dei togati. Da allora Joe Biden ha macinato ogni record nel percorso verso Washington.

Il suo cursus honorum e i drammi familiari. Quinto più giovane senatore nella storia USA, più longevo rappresentante dello Stato del Delaware e vicepresidente, per ben due volte, di Barack Obama. Un cursus honorum che lo sta spingendo al ruolo di “ammazza-Trump” alle elezioni 2020.

Ma se pensavate che la vita di Joseph Robinette Biden fosse stata costellata esclusivamente da gioie e successi, vi sbagliate. Su di lui ha sempre pesato un macigno, personale più che politico, che lo ha condizionato anche alle scorse elezioni, le stesse in cui ha deciso di lasciar libera la strada ai due candidati Hillary Clinton e Bernie Sanders.

Joe ha infatti perso la propria famiglia in due tragici eventi: prima nel 1972, quando in un incidente d’auto morirono la moglie Neilia Hunter e la figlia Naomi; poi nel 2015 ha visto morire il figlio 46enne Beau, procuratore generale del Delaware e candidato alla carica di governatore, a causa di un tumore al cervello.

Nonostante l’infelicità, il senatore è riuscito a ricoprire ruoli sempre più importanti. Nel 2017 ha persino ricevuto, dalle mani del Presidente Obama, la medaglia presidenziale della libertà. Il più alto riconoscimento civile per un uomo che da giovane, a differenza dei suoi pari-età, non ha servito il Paese durante la guerra del Vietnam per una sospetta asma – la stessa che non gli ha impedito di scendere in campo per la squadra di football della Delaware Blue Hens University.

Le sue politiche e il record da battere. Sfavorevole alla prima guerra del Golfo, contrario nel 2001 ai bombardamenti americani contro Al-Qaeda e i talebani in Afghanistan e titubante sul raid che portò all’uccisione di Osama Bin Laden, ha sempre preferito agire più su suolo americano che su quello straniero.

Nel 1984 è stato infatti co-sponsor del Crime Control Act – provvedimento del Congresso che aboliva la libertà condizionale, ristabiliva la pena di morte, estendeva la confisca dei beni civili e aumentava le pene federali per la coltivazione, il possesso o il trasferimento di marijuana – e se venisse eletto brucerebbe uno dei record di colui che proprio questa legge aveva controfirmato, Ronald Reagan.

Concluderebbe infatti il suo primo mandato a 82 anni, diventando così l’inquilino della Casa Bianca più anziano di sempre. 

La candidatura in bilico. La sua candidatura rimane ancora incerta ma Joe si è già sbilanciato. Una frase sibillina, pronunciata durante un incontro con gli elettori a Dover lo scorso 17 marzo e puntualmente ripresa dai giornalisti statunitensi, lo portano sulla via della candidatura. «I miei risultati sono i più progressisti di chiunque sia in corsa per gli Stati Uniti».

Dichiarazione che ha entusiasmato il pubblico che ha risposto prontamente con un applauso e scandendo lo slogan «Run, Joe run» («Corri, Joe corri»). Non è bastata la pronta correzione del senatore democratico che ha tentato di frenare ogni entusiasmo correggendo il tiro: «Non intendevo quello. Volevo solo dire: di chiunque volesse correre».

Se stiamo a sentire i mormorii lanciati dalle pagine del The Wall Street Journal a giorni arriverà la decisione definitiva e sarà positiva. Nel frattempo, i sondaggi lo danno favorito. Quello formulato da Harvard Caps/Harris e che risale al dicembre scorso, lo proietta in testa tra i Dem, con l’eterno secondo Bernie Sanders a 7 punti percentuali di distanza.


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