Fenomenologia del piatto

Di Massimo Porcari – Ventre piatto, Terra piatta, piatto da portata, schermo piatto… La società contemporanea sembra ossessionata dall’idea della bidimensionalità, dallo sgonfiamento di ogni rilievo.

PIXNIO-309959-1100x733Facciamo attenzione alle parole con cui interagiamo maggiormente, specialmente tra quelle provenienti dal nostro smartphone; ci rendiamo conto che da una parte Bruno Barbieri, direttamente dalla pomposa ma allo stesso tempo ipocritamente austera cucina di Masterchef, invita i concorrenti a cucinare meno “mappazzoni” possibili – la definizione di “mappazzone” ci viene data dallo stesso Barbieri: «una roba da camionisti nel senso buono del termine», quindi un agglomerato di cibarie che farebbero gola a Pantagruel o a Sancho Panza –, consigliando quindi moderazione nelle dosi e nell’impiattamento.

Questa, una vera ossessione di chef amatoriali e professionisti – sulla soglia del parossismo patologico – che dovrebbe consistere non in funambolesche e piramidali architetture alimentari, ma in un sapiente dosaggio delle forme piatte, ben distribuite nel supporto ove va posizionato il cibo preparato. Sembrerà ridondante, ma il supporto viene atavicamente denominato “piatto”, da cui per sineddoche deriva il nome del prodotto terminato.

14765118324_79a009364b_bScorrendo poi la bacheca del nostro Facebook può capitare di imbatterci sovente in articoli messianici che promettono l’appiattimento del proprio ventre, attraverso diete fatte di beveroni e barrette proteiche – anche queste piattissime! – ed esercizi ginnici che per la legge del contrappasso ci permettono di espiare le nostre colpe, guarda caso legate all’ingerenza di abbondanti mappazzoni.

C’è poi il terrapiattismo, nuova frontiera dei complottisti di tutto il globo, secondo cui la Terra che ci viene presentata come sferica sia in realtà un infingimento per nascondere la vera natura del luogo in cui abitiamo, ovvero la sua piattezza.

Potremmo poi parlare delle pubblicità che ostentano smartphone sempre più piatti, il cui schermo piatto diventa la prospettiva privilegiata per osservare cosa accade nel mondo, il piattume del vuoto esistenziale, la compressione e quindi l’appiattimento spazio-temporale di cui parlano alcuni critici della post-modernità, come Harvey (consigliata la lettura de La crisi della modernità).

Declinazioni diverse di un’unica imperativa ossessione, quella per la piattezza, che sembra risparmiare solo i video porno, con qualche riserva anche in questo caso, data la crescente preferenza per il petto piatto.

Cosa possiamo trarre da questa breve e non esaustiva fenomenologia del piatto? Se la pensiamo come Barthes, secondo cui un certo uso fascista del linguaggio non vieta di dire, ma obbliga a dire, allora sembrerebbe quasi che l’industria culturale voglia imporre i propri modelli imponendo nel linguaggio comune la tematica del piatto: ma, lasciandoci alle spalle dietrologie e complottismi, mi sembra d’obbligo riflettere seriamente sullo schema reiterativo che governa la discussione intorno al piatto.

file-20180806-191047-11uplouLe diverse manifestazioni culturali che ostentano la piattezza come canone estetico privilegiato semplicemente si adattano a un modello culturale di cui esse sono solo un riflesso. Si tratta di un modello che vede nella mancanza di sfumature e nell’agevolezza pratica il proprio scopo. E sembrerà retorico, ma un certo appiattimento, a livello metaforico, è anche quello ricercato nel linguaggio della politica, in cui forme prefabbricate di frasi e pensieri vengono suggerite – se non imposte – all’uomo “eterodiretto”, definito così dal sociologo David Riesman.

Il mito contemporaneo della piattezza è il risultato di una ricerca ossessiva per la fruibilità immediata, che permetta una concozione facilitata, rimanendo nella metafora culinaria. Ciò che può essere digerito, toccato, usato, goduto con facilità, nella sua assenza di difformità o di spessore, diventa facilmente consumabile e dimenticabile.

Allora conviene forse trasformare ogni ideale di piattezza in un grosso “mappazzone”, ingrossare il proprio ventre come Sancho Panza quando si prepara ad ingerire con avidità ogni tipo di portata, deformare la bidimensionalità su un piano tridimensionale, da cui solo è possibile cogliere ombre e sfumature.


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