Conosci, apprendi, lavori e…dipendi!

Di Ugo Lombardo – Come descritto in “Conosci, apprendi, lavori!”, in un contesto come quello della globalizzazione, sono presenti continui processi di innovazione che richiedono livelli elevati di formazione, flessibilità, apprendimento continuo, adattabilità a situazioni sempre diverse, capacità di accedere alle informazioni e creatività.

Sostanzialmente, quindi, stiamo assistendo a un’evoluzione del mondo del lavoro. Purtroppo, però, questa evoluzione sta inevitabilmente portando, secondo uno studio americano pubblicato su Forbes, a una forma particolare di dipendenza da lavoro definita “workaholism”. Secondo tale ricerca, infatti, il 66% dei nativi digitali, cioè i Millennials, si sente affetto da questa sindrome, la cui paternità è da attribuire allo psicologo Wayne Oates nel 1971.

Nel dettaglio, il 63% degli intervistati ha rivelato di essere produttivo anche in malattia, mentre il 32% di lavorare addirittura in bagno, il 70% di rimanere attivo nel weekend e il 39% afferma di essere disposto a lavorare perfino in vacanza nel contesto di una vera e propria “workcation”I sintomi più comuni legati alla dipendenza dal lavoro sono depressione, ansia, insonnia, aumento di peso e problemi alla vista per le troppe ore trascorse davanti al pc.

Il principale responsabile sembra essere proprio ciò che sta inevitabilmente modificando il mondo del lavoro e i nostri stili di vita, cioè la tecnologia. Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia, sostiene che alla base vi è l’attitudine all’utilizzo di ogni apparato tecnologico, che favorisce una connessione al mondo senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio e dalla propria casa e che, di conseguenza, genera questa forma di dipendenza.

Con lo smartphone, infatti, è come avere l’ufficio sempre a portata di mano e non si ha mai la possibilità di “staccare la spina” veramente. «I millennials si trovano immersi in un ciclo continuo di stimoli – aggiunge Osnaghi – costretti a lavorare un numero di ore dilatato rispetto a quello che sarebbe in un mondo senza tecnologia».

Questo perché, sebbene sia stato studiato per quasi 45 anni, il mondo digitale di oggismartphone aggiunge una nuova dimensione al concetto di dipendenza dal lavoro. La tecnologia, intesa come diffusione e utilizzo degli smartphone, laptop e tablet etc., offre l’opportunità di lavorare da qualsiasi luogo in qualsiasi momento e, per alcune persone, significa lavorare continuativamente.

La possibilità, quindi, di portare a casa il proprio lavoro offusca la linea tra quest’ultimo e tempo libero e, spesso, ci si aspetta che le persone siano disponibili a lavorare durante le serate, i fine settimana e persino durante le vacanze. Come conseguenza, le ore di lavoro aumentano, si annullano gli spazi per la vita privata, con effetti sulla qualità della propria vita che è insostituibile.

Come già detto, i sintomi principali degli effetti deleteri del workhaolism sono la depressione, l’ansia, l’insonnia e l’aumento di peso. A sostegno di questo, inoltre, vi è anche il parere della psicoterapeuta Amy Morin che, nel suo bestseller internazionale 13 things mentally strong people don’t do evidenzia l’aspetto per cui il 42% dei millennials che lavorano intensamente più di 9 ore al giorno, rimangono costantemente attaccati allo schermo del pc con riscontri negativi sulla propria salute mentale. Questo incide negativamente sulle relazioni sociali con amici, parenti e con il partner.

workLa tecnologia, però, non è l’unica causa scatenante che spinge verso il workaholism. Vi sono, infatti, anche altri fattori che potrebbero generare tale forma di dipendenza, come ad esempio la pressione del datore di lavoro, la paura di non riuscire a fare carriera, il forte desiderio di avere successo dal punto di vista professionale. Questi sono tutti elementi che spingono all’iper-lavoro e, di conseguenza, a un iper-stress da lavoro.

«Sono numerosi gli stimoli che possono impattare sulla scarsa capacità di mettere un limite ordinato alla propria esistenza», sottolinea Osnaghi. «La generazione dei millennials dimostra molta più preoccupazione verso il futuro rispetto alla precedente, soprattutto a causa della ricerca dell’indipendenza economica, del desiderio di una famiglia da formare e poi mantenere, e dell’ansia di dover essere più bravi degli altri. Ne consegue che le abitudini di lavoro sono diventate una gabbia in cui perdersi e i confini etici che proteggono la vita privata sono andati via via affievolendosi».

In conclusione, se non viene sviluppata una forma di “educazione al lavoro”, secondo dei propri schemi e dei propri ritmi, una maggiore flessibilità nel mondo del lavoro rischia di compromettere e rendere flessibile anche la qualità della nostra vita privata da cui, invece, tutto dovrebbe “dipendere”.


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