Brexit: sì al rinvio, no al referendum

Di Francesco Puleo – Ieri sera la Camera dei Comuni si è espressa per l’ennesima volta sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, a due settimane dalla fatidica data del 29 marzo. Il parlamento ha approvato la proposta del governo guidato da Theresa May di rinviare di almeno tre mesi la Brexit.

parliament-1564427_960_720Nello specifico, la decisione prevede due possibilità: se i parlamentari approvano un accordo di divorzio entro il 20 marzo, il governo cercherà di concordare un’estensione straordinaria fino al 30 giugno per approvare la legislazione necessaria all’uscita dall’Unione. In caso contrario, chiederà al Consiglio europeo nella riunione del giorno seguente un’ulteriore estensione, oltre il 30 giugno, a condizione però di presentare una giustificazione valida per l’Europa e di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo a maggio.

L’ennesimo paradosso, insomma. D’altro canto, l’ipotesi di un’uscita senza accordo (no deal) non può essere esclusa del tutto, dal momento che in entrambi i casi l’approvazione da parte del Consiglio europeo richiede il consenso unanime dei 27 Stati membri dell’Unione. E questo non è affatto scontato.

Accanto all’atteggiamento più conciliante del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, il quale ha aperto allo scenario di una proroga della Brexit fino a un anno, la Francia di Emmanuel Macron ha escluso categoricamente l’ipotesi dell’estensione breve della proroga se l’unico scopo fosse quello di discutere nuovamente l’accordo più volte presentato da Theresa May.

La scelta della Camera dei Comuni arriva alla fine di una discussione su tre emendamenti proposti dall’opposizione, tutti respinti. Il primo emendamento (Wollaston amendment) chiedeva di estendere la proroga della Brexit per tenere un secondo referendum; il secondo (Benn Amendment) chiedeva di trasferire dal governo al Parlamento il potere di trovare soluzioni alternative per la Brexit fino a mercoledì prossimo; il terzo (il Labour amendment) proponeva infine di rinviare la Brexit per dare modo al Parlamento di tentare un approccio differente rispetto a quello della May.

Yvette_Cooper_(5257912377)_(cropped)Nei due giorni precedenti, il 12 e il 13 marzo, il parlamento inglese si era espresso rispettivamente sulla proposta di accordo presentata dalla May e sul no deal, bocciando entrambe le ipotesi. Il voto era stato programmato il 27 febbraio, alla fine dell’ultima battaglia sugli emendamenti dalla quale era uscita vincitrice la laburista Yvette Cooper con la sua proposta di un voto obbligatorio sul rinvio della Brexit.

La prossima settimana sarà dunque decisiva per capire se il 29 marzo sancirà l’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione Europea. Al netto delle dichiarazioni dei rappresentanti delle istituzioni europee, che rientrano in un gioco delle parti al quale Theresa May è ormai abituata, lo scenario del no deal sembra molto difficile. Allo stesso modo, è improbabile che nel voto della settimana prossima la May otterrà l’approvazione del parlamento, il quale si è ripetutamente espresso contro la sua proposta di accordo.

D’altronde sarebbe ancora più surreale se, mentre discutono di come uscire dall’Unione, gli Inglesi fossero costretti a partecipare alle elezioni europee. Tuttavia, arrivati a questo punto, il confine tra reale e surreale è sempre più labile.


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