I soldatini del Daesh non ridono

Di Clara Geraci – Kaheel (nome di fantasia) ha più o meno nove anni, e sa già uccidere. Da quando il Califfato gli ha regalato la folle fierezza del combattente in cambio della sua vita da bambino, imbraccia un kalashnikov e gioca alla guerra, quella vera.

daeshTra macerie e bandiere nere, ha imparato a preparare bombe e a torturare prigionieri, a sparare e a tagliar gole. Conosce a memoria il Corano e l’Hadith, anche se non capisce bene il significato di ciò che dice. Gli hanno insegnato che distruggere “l’infedele” è suo dovere, e che morire per la Jihad lo renderà un eroe.

Kaheel non vive che di lutti e violenze. Non ha mai conosciuto la pace. Ha visto amici costretti a farsi saltar per aria, e nemici crocefissi nelle piazze. Non ha il diritto di piangere, né di chiedere della sua famiglia: deve solo combattere. O morire. Kaheel non ha identità, né libertà. Non ha pensiero, né una vita che sia sua. Era un bambino, lo hanno reso un guerriero cieco e leale. È in balia di spietati aguzzini che gli hanno corrotto l’anima, ma non lo sa. 

Kaheel forse non esiste: è tutti i bambini senza sorriso e senza futuro che Isis ha indottrinato, addestrato e mandato al massacro tra le fila del suo esercito di martiri senza gloria. È tutti i “piccoli mujaheddin” con lo sguardo vuoto e quell’agghiacciante indifferenza alla vita, che solo chi è stato allevato tra fanatismo e AK47 ed è vissuto circondato di granate e cadaveri può conoscere.

È tutti i bambini che nei campi di addestramento dello Stato Islamico tra Siria e IraqAl Farouq Institute a Raqqa è il più conosciuto – hanno imparato a convivere con la paura, il dolore e il puzzo della morte. Kaheel è tutti quei bambini costretti a crescere troppo in fretta, a cui è stato rubato il diritto di essere bambini.

Complici innocenti di scempi e di stragi, i piccoli boia forgiati nelle fucine dello Stato Islamico sono tanti, tantissimi: «secondo le mie stime almeno 700 bambini sono stati addestrati come combattenti» – dichiarava nel 2015 il professor John G. Horgan, esperto di terrorismo della Georgia State University di Atlanta.

A centinaia ne sono rimasti esanimi sui campi di battaglia per aver guerreggiato in prima linea: 358 sono i minori “non – civili” che hanno perso la vita nella sola Siria dal 2011 ad oggi, secondo il Violations Documentation Center. A decine sono stati mandati a morire con addosso cinture esplosive o con le mani sugli sterzi delle autobombe: tra il 2014 e il 2016 si sono registrati 89 attacchi suicidi compiuti da minori in Iraq e Siria, almeno 11 dei quali hanno coinvolto bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni.

Tutti sono stati mostrati al mondo, con terrificante spregio di qualsiasi significato possa attribuirsi al termine “umanità”: il Daesh usa i guerrieri bambini, vittime armate senza innocenza e senza colpa, per inorridire e conquistare. Per farne testimonianze in carne ed ossa dei suoi deliranti progetti di grandezza.

Li ha raccolti per lo più dagli orfanotrofi, terreni di caccia grossa affollati di bambini soli e indesiderati: le prede perfette. Qualcuno lo ha strappato con violenza alle famiglie, come Nasir, 12enne yazida riuscito a fuggire dal campo di Raqqa appena in tempo per scampare alla missione suicida a cui era destinato: «durante gli addestramenti ci dicevano che i nostri genitori erano infedeli e che il nostro primo compito sarebbe stato quello di tornare indietro per ammazzarli. Il più piccolo di noi aveva appena 5 anni, e non era escluso dai trattamenti più crudeli» – racconta alla CNN.

Molti altri li ha comprati per meno di 400 dollari al mese – tanto pare valga la vita di una giovane recluta, secondo quanto riporta Unicef – o vendendo illusioni di scolarizzazione gratuita. Tanti se li è semplicemente presi, come i 133 giovani curdi rapiti attorno ad Aleppo nel maggio del 2014 e finiti a «lezione di Jihad contro i nemici di dio e gli apostati» – secondo quanto riferito dai cinque ragazzini riusciti a tornare a casa.

E poi ci i sono figli di jihadisti locali e foreign fighters, inquietantemente onorati di iniziare alla causa i loro mini-soldati: «migliaia ne sono giunti dai Paesi musulmani. Dozzine dall’Occidente, come le tre sorelle inglesi di Bradford, che hanno abbandonato i mariti e sono partite per la Siria con 9 bambini, dai 3 agli 8 anni» – segnala Mia Bloom, docente alla Georgia State University.

Tanti, troppi, li ha invece conquistati fuori da scuole e moschee o sul web, con promesse di potere e di gloria eterna e un mucchio di regali, sfruttando un sistema di proselitismo tra i più riusciti di sempre: «clamoroso il caso di Khadijah Dare, cresciuta a Londra e sposata adolescente a Raqqa, che dichiarò di voler essere la prima donna a tagliar la testa a un infedele: è circolato un video con suo figlio di 4 anni che faceva esplodere un’autobomba a distanza, uccidendo tre presunte spie» – aggiunge la specialista in terrorismo.

Syrian Democratic Forces Visit Village Near Dashisha

Isis si appropria dell’ingenuità di tutti quei bambini disgraziatamente venuti al mondo nel posto sbagliato, o nel tempo sbagliato, o da genitori sbagliati. E da quel momento nella loro vita non c’è più niente di normale.

Non ci sono scuole dove non si insegni che la Sharia. Non ci sono giochi che non siano armi. Non ci sono film che non ritraggano i prodi tagliagole vestiti di nero vincere sugli “infedeli”. Non ci sono favole che non parlino dei martiri della Guerra Santa, perché le brave “Sorelle della Jhiad” hanno il compito di raccontare solo quelle. Non ci sono parole che non siano d’odio e di castigo. E non ci sono parchi gioco che non siano le piazze in cui assistere a supplizi e uccisioni.

«Tutti i bambini erano costretti a guardare le decapitazioni. Anche se stavano tagliando la testa a tuo padre, tu dovevi guardare» – racconta Ibrahim, 13 anni. Non c’è più niente di normale. I ‘’soldatini del Daesh’’ non vivono da bambini, non pensano da bambini, non sentono la vita come fanno i bambini.

Non ridono. Perché le loro risate, le loro menti, le loro vite se le sono prese i grandi, belve tanto feroci da divorare l’anima dei loro stessi cuccioli. I ‘’soldatini del Daesh’’ sono stati vite ingabbiate, addomesticate, soffocate. È arrivato il tempo di insegnargli che possono essere vite sì graffiate, ma libere di ridere.