People: persone che col razzismo non ci stanno

Di Alice AntonacciC’è una cosa che in molti sottovalutano di frequente, che è la forza delle persone, che si traduce poi nella loro volontà di ricordare a chi sembra dimenticarsene che ciò che siamo è questo: persone, prima di tutto il resto.

Probabilmente in molti scendendo per strada sabato avranno deciso di portare con sé insieme alle loro idee anche le loro etichette politiche, ma quello che contava era altro. L’importante era, e rimane, il fatto di sapere scegliere da che parte stare.

razzismPeople, prima le persone è stata una manifestazione nazionale anti-razzista, indetta per sabato 2 marzo 2019 alle ore 14.00. Circa 200mila i partecipanti stimati, un corteo che è partito da Via Palestro per arrivare a Piazza Duomo.

Una esternazione semplice, ma che allo stesso tempo ha dato un segno, che l’Italia “è tanta roba”, come si potrebbe dire nel gergo dei tanti ragazzi che si sono mobilitati e si sono manifestati capaci (ancora) di muoversi.

Ma non c’erano solo i ragazzi, c’erano famiglie, alcuni personaggi di spettacolo, politici, bambini che tenevano in mano palloncini con su disegnato il mondo; gruppi di persone mobilitatisi non dietro chissà quale stendardo, ma dietro uno striscione arancione con degli omini disegnati sopra, omini diversi, colorati, viola, rossi, gialli, con il bastone e in carrozzina, che in molti hanno ricondotto al tratto del celebre Makkox.

Insieme Senza Muri, Anpi, Acli, Sentinelli, Mamme per la pelle e Action Aid le sigle promotrici a cui si sono accodate tante associazioni, organizzazioni e sigle che hanno voluto mostrarsi e mobilitarsi per ribadire la necessità di rimettere al centro la gente e per mostrare un messaggio di inclusione, di disponibilità, di apertura, un segnale contro la politica della paura e la cultura della discriminazione che negli ultimi periodi sembra prendere piede in misura preoccupante.

Si è voluto dare contezza del fatto che Milano, l’Italia in generale, è di più delle scritte oscene, degli insulti gratuiti e stupidi, delle aggressioni che partono sempre da cosa differisce me da te, noi da loro, gli uni dagli altri. C’è stato chi lo ha visto come un Pride bis, una festa, chi ha voluto sminuirlo, chi lo ha definito come manifestazione di un buonismo privo di senso; eppure, di questa come di ogni cosa, possono essere date diverse chiavi di lettura.

Si può scegliere la via della paura, dell’ignoranza, della facilità di rinchiudere una persona nei confini dettati dal suo colore, dalla religione che ha scelto di professare, dalla sua preferenza sessuale. Oppure si può scegliere di prendere contezza del fatto che l’unica cosa che realmente ci unisce, che veramente, profondamente e forse anche semplicisticamente ci accomuna è la diversità.

Uguali nella diversità. Sembra uno slogan pubblicitario, ma è un semplice dato di fatto che può capitare di non attenzionare abbastanza o di cui alcuni sembrano dimenticarsi. Eppure no, non è possibile dimenticarsi di essere tutti sulla stessa precisa e identica barca; una barca dalla quale, però, non è possibile scendere. Questo avrà voluto fare presente chi è sceso in piazza sabato, c’era voglia di divertirsi, di sorridere, e probabilmente anche di stupirsi di trovarsi quella moltitudine fianco a fianco che era lì per il suo stesso motivo, dare il segno di una città, di un paese, che ha voglia di “restare umano”.

«Venite tutti, ognuno con i suoi buoni motivi», è stato l’invito lanciato dal sindaco Sala che in questa manifestazione ci ha molto creduto e che ha affermato la necessità di esserci. Un invito a ricordarsi un po’ di coscienza civica. Nessun comizio finale ma un dj-set guidato da Simon Samaki Osagie, dj e attivista, in cui hanno risuonato le note e le parole di People have the power di Patti Smith, che canta di un potere della gente, delle persone per l’appunto, a prescindere dal colore della loro pelle, dal loro credo e da quello con cui fanno colazione la mattina.

Il sintomo di un risveglio, meglio ancora una presa di posizione contro una realtà in cui la critica al diverso sembra molto più semplice della pratica dell’integrazione, che non è cosa semplice ma necessaria. Chi è sceso in piazza aveva voglia di dimostrare che quello che conta sono le persone, e che sia necessario tornare a metterle al centro.

Qualcuno si è chiesto se la sinistra sarà in grado di ripartire da questo. È una bella domanda. Ma intanto possiamo dire che c’è un’Italia che non dorme e che è stufa di certa politica, per il resto staremo a vedere.


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