Quando Franca disse no

Di Silvia Scalisi – Ci sono storie che vanno raccontate anche se il tempo fa di tutto per farle dimenticare. Ci sono storie che fanno la storia, che non si limitano al clamore di qualche mese, di qualche anno, ma si ripercuotono come un’eco, gettando le basi per quei cambiamenti che oggi ci appaiono così ovvi e scontati.

È la mattina di Santo Stefano del 1965 quando tredici uomini fanno irruzione nella casa di una famiglia di umili contadini di Alcamo, in provincia di Trapani, per rapire una ragazzina, innocente e bellissima nei suoi 17 anni da compiere qualche giorno dopo, e il suo fratellino di appena otto. La madre, nel vano tentativo di fermarli, viene picchiata. Il bambino viene liberato poco dopo; la ragazza, vero obiettivo dei rapitori, viene tenuta segregata per otto giorni. Otto lunghissimi, interminabili giorni, otto giorni in cui viene picchiata, tenuta a digiuno, violentata, più e più volte, dall’uomo che aveva organizzato il rapimento.

franca-violaQuella ragazzina bellissima è Franca Viola, e da quel 26 dicembre non sarà più la stessa.

Figlia di agricoltori alcamesi, a 15 anni si fidanza con Filippo Melodia col consenso del padre, il quale però, a seguito dell’arresto del ragazzo, nipote di un mafioso, scioglie il fidanzamento, innescando l’ira di Filippo che non si dà pace: ormai considera Franca una cosa sua, e deve averla, a tutti i costi.

Non bastano le intimidazioni alla famiglia, le minacce, l’incendio alla loro vigna, la distruzione dell’orto: Bernando Viola è irremovibile e indietro non ci torna.

Così, il giorno dopo Natale, Filippo entra in casa con altri dodici uomini e prende Franca, la afferra come un oggetto, come si può prendere un pacco di pasta dallo scaffale del supermercato. La prende e la porta a casa, e ne fa ciò che vuole a suo piacimento.

Il giorno di Capodanno la famiglia Viola riceve una telefonata: Franca sarà liberata, se accetteranno di compiere il cosiddetto matrimonio riparatore, previsto dall’art. 544 del codice penale, meglio conosciuto in paese come la “paciata” (letteralmente, la pace fra le due famiglie, che avveniva, appunto, col matrimonio). Papà Bernardo accetta, ma è un inganno: infatti, informerà la polizia del luogo in cui si trova Franca, che viene liberata. È la fine di un incubo, ma l’inizio di un altro.

Il fantasma del matrimonio riparatore continua, infatti, ad aleggiare attorno alla famiglia. Le consuetudini, consolidate da decenni, prevedevano l’estinzione del reato di violenza carnale e rapimento, se il rapitore avesse sposato la vittima abusata; inoltre, Franca era ormai una donna disonorata (cioè non più vergine), ed era giusto che convolasse a nozze con chi l’aveva violata.

Ma è proprio in questo momento che Franca, sconvolta e provata, prenderà una decisione, la più importante della sua vita. Franca non vuole sposare Filippo; ne è sicura, e raccolto tutto il coraggio in corpo, lo dice a suo padre.

«Tu metti una mano, io ne metto cento» le risponderà papà Bernardo, che accetta di affrontare la vergogna in paese, il disonore, «la gente che si gira e non lo saluta più» per colpa di quella figlia ribelle che era uscita fuori dagli schemi.

289f32d3c56b59f9480bc6c8269844cbFranca denuncia i suoi rapitori, si rifiuta di sposare Filippo, si finisce in tribunale; il processo affrontato con dignità e compostezza, nonostante il dolore di ripercorrere quei giorni, sentendo le arringhe difensive che la definivano «consenziente» e miravano a screditarla, perché i giovani, si sa, sono avvezzi alle «fughe d’amore».

Ma ormai non si trattava più soltanto di lei, ormai si trattava di sovvertire l’intera società siciliana, fatta di quell’arcaica sopraffazione maschile sulle donne, divenuta la normalità, la regola.

E così è stato, grazie a giudici illuminati, che hanno condannato tutti i sequestratori, in particolare Melodia a 11 anni: poca cosa rispetto alla gravità del fatto, ma un grande passo se si considera ciò che è avvenuto dopo.

Un numero sempre più alto di ragazze inizierà a seguire l’esempio di Franca: mai più matrimoni riparatori, mai più «paciate», mai più giustificazioni per crimini atroci.

Si dovrà aspettare il 1996 perché la violenza carnale venga considerata reato contro la persona (abusata) e non più reato contro la morale, segno di un cambiamento radicale nel modo stesso di percepire la donna: non più un oggetto, ma finalmente, un essere umano.

La storia di Franca ci insegna che non dobbiamo mai dare nulla per scontato; che dietro ogni conquista, ci sono sempre sacrifici e lotte, spesso lunghe e dolorose; che noi oggi, grazie a chi ha combattuto prima di noi, possiamo ritenerci dei privilegiati perché liberi di scegliere.

E dovremmo ricordarcene più spesso.