Digitalizzazione, ma non per tutti

Di Ugo Lombardo – Nonostante la progressiva e sempre più consolidata transizione verso il digitale, all’interno di un processo che vede coinvolto tanto il mondo del lavoro che i normali contesti della vita quotidiana, non tutto il territorio italiano sembra, però, essere in linea con questa evoluzione. L’Istat, infatti, nella sua ultima rilevazione su Cittadini, imprese e Ict, aggiornando i dati del 2018, ha messo in evidenza come una casa su quattro sia esclusa da questo cambiamento.

Diverse sono le ragioni per cui alcune persone, in Italia, non sono connesse a Internet: fra queste, spicca una sorta di analfabetismo tecnologico che genera incapacità nell’utilizzare la rete; in aggiunta, un quinto di chi non è connesso afferma che, semplicemente, non ritiene interessante Internet.

Fra le famiglie non connesse alla rete la percentuale maggiore, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica, è localizzata nelle regioni della Calabria (33,8%),del Molise (33,7%) e della Sicilia (33,5%), mentre è più bassa nel Trentino Alto Adige (19%) e in Lombardia (20,2%).

Secondo l’Istat, però, sono due i dati che maggiormente risultano interessanti. Il primo è quello per cui il 58,2% di persone afferma che, in casa, nessuno è in grado di usare Internet. Questo mette in evidenza quello che viene definito, appunto, analfabetismo digitale per cui nessuno sa connettersi, aprire un browser o un’app sullo smartphone e navigare. La difficoltà ad approcciarsi alla rete rappresenta un problema non solo per questa fetta di popolazione, ma anche per l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione (P.A.).

Questa, infatti, sta vivendo una fase in cui, al fine di aumentare l’efficienza della propria attività, si sta sempre più digitalizzando, dotandosi di infrastrutture materiali e immateriali che, assieme ai servizi, possano consentire una maggiore digitalizzazione dei rapporti coi cittadini. A tal fine, saranno coinvolte tutte le amministrazioni interessate a livello sia nazionale che locale, all’interno di un ecosistema digitale. Il problema sottolineato è: come si può pensare di digitalizzare completamente la P.A., se circa il 15% degli italiani (circa uno su sette) non sa connettersi a Internet?

Se a questo si aggiunge il problema demografico del nostro Paese (il più vecchio d’Europa) – non pronto, da un punto di vista generazionale, a tale mutamento – e un elemento di carattere culturale (circa il 21% di chi non è connesso ad Internet, ritiene questo strumento – una della più grandi scoperte del secolo scorso – poco interessante), risulta necessario, dunque, porsi un problema di istruzione ed educazione al digitale, senza il quale la fase di transizione verso lo stesso, potrebbe portare una parte della popolazione a essere tagliata fuori da questa evoluzione.

Bisogna tenere presente, inoltre, che oltre al pubblico impiego, anche nell’ambito del privato stiamo vivendo un periodo di sviluppo tecnologico che, inevitabilmente, sta modificando i rapporti di lavoro. Secondo l’indagine Excelsior sulle Previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2018-2022), vi sono almeno tre livelli evolutivi in tal senso. Infatti vi è un il primo che riguarda la trasformazione dei lavori esistenti a causa di un’evoluzione delle competenze necessarie che i lavoratori devono avere e sviluppare, in considerazione della maggior complessità e sofisticatezza che, secondo quanto si prevede, molte mansioni assumeranno.

Il secondo livello, invece, è costituito dalla creazione di nuovi posti di lavoro, come le nuove professioni associate all’utilizzo dei big data, alla cybersecurity o ai social media. Ricordando ciò che è stato dichiarato al World Economic Forum (2016), circa il 65% dei bambini che frequentano attualmente la scuola primaria svolgeranno, in futuro, un lavoro che, ad oggi, non esiste ancora.

Il terzo livello, infine, è quello legato alla potenziale distruzione di posti di lavoro: nello specifico, le professioni che si esplicano in mansioni ripetitive e non a carattere cognitivo, verranno progressivamente sostituite da macchine automatizzate. L’indagine Excelsior, inoltre, riprende alcuni dati interessanti derivanti dal progetto Wollybi, sviluppato dal centro di ricerca Crisp dell’Università di Milano – Bicocca, che analizza le web vacancies postate in Italia (www.wollybi.com).

I dati di Wollybi permettono di identificare alcune nuove professioni emergenti e le loro relative competenze richieste dal mercato. Tra queste, vi sono alcune professioni che sono tipicamente interrelate con lo sviluppo tecnologico, quali il Data Scientist, l’analista del Cloud Computing, il Cyber Security Expert, il Business Intelligence Analyst, il Big Data Analyst e il Social Media Marketing. Si tratta di numeri che fanno intravedere il potenziale beneficio della tecnologia nella creazione di nuovi posti di lavoro.

Anche se è vero, quindi, come afferma l’Istat, che la quota di famiglie connesse in banda larga è salita dal 70,2% del 2017 al 73,7 dello scorso anno, ed è vero anche che è cresciuta la quota di chi si è connesso alla rete nell’ultimo anno, (dal 65,3% al 68,5%, con un 52,1% che naviga quotidianamente), finché rimarrà una quota di popolazione non in grado di usare la rete, ritenendola altresì non interessante, il Paese rischierà di andare incontro all’ennesima spaccatura Nord-Sud che si ripresenterebbe in versione moderna, in versione digitale.


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