Il cavaliere della regina depone la spada

Di Lorenzo Fasolo – Proprio come accadde per Ettore nell’Iliade, Andy Murray sapeva di andare incontro a un destino tanto beffardo, quanto ormai certo: fin dal principio di quest’edizione degli Australian Open, in cuor suo, era cosciente del fatto che, presto o tardi, si sarebbe consumata la propria “morte” agonistica. Dopo la conferenza stampa shock nella quale ha annunciato il ritiro dall’attività agonistica per colpa di un subdolo infortunio all’anca, è stato sconfitto al primo turno dello slam australiano dal numero 22 della classifica mondiale, lo spagnolo Roberto Bautista Agut.

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US Open 2008

Certo, il rammarico di vederlo lottare contro un Patroclo “qualunque” per conquistarsi il secondo turno piuttosto che ammirarlo contro un Achille del tennis moderno, oltre a lasciare l’amaro in bocca, intristisce il fatto che non abbia avuto una passerella d’uscita degna di quel che è stata la sua carriera. Ma andiamo con ordine, ripercorrendo le tappe fondamentali della carriera dello scozzese.

Sir Andrew Barron Murray è sicuramente il tennista britannico più vincente nell’era moderna del tennis. Vanta un palmarès di tutto rispetto: tre titoli dello slam (due Wimbledon e uno U.S. Open), una vittoria negli ATP Tour Finals nel 2016 e l’oro olimpico nel singolare maschile ottenuto sia a Londra 2012 che a Rio 2016.

La sua bacheca potrebbe contare innumerevoli titoli in più, se non fosse che Murray, debuttando nel tennis che conta nel 2008 conquistando il suo primo trofeo ATP al SAP Open di San Jose (California), ha avuto l’onore e, allo stesso tempo, la sfortuna di prendere parte alla stagione tennistica più competitiva e spettacolare di tutti i tempi.

Insieme a Federer, Nadal e Djokovic ha composto per anni i Fab Four, i fantastici 4 che in un modo o nell’altro si trovavano sempre a occupare le prime posizioni della classifica mondale, nonché a contendersi i più prestigiosi tornei della stagione. Andy ha sempre dato l’impressione di occupare il gradino più basso di questa prestigiosa graduatoria, scontrandosi più volte con gli altri tre e uscendo dal campo, spesso e volentieri, con le ossa rotte.

È proprio questo che piace più di Murray, non esattamente riconosciuto come campione di simpatia all’interno del circuito o come giocatore dotato di talento cristallino: la voglia di combattere e superare se stesso e i propri limiti per poter arrivare ad agguantare l’olimpo del tennis, missione nella quale è riuscito più di una volta come detto in precedenza.

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Tokyo 2011

Oltre alle ovvie difficoltà nel giocare contro questi mostri sacri e del dover continuamente usare i propri limiti come motivazioni a fare sempre meglio, Murray ha dovuto sempre fare i conti, nell’arco della sua carriera, con una pressione mediatica incredibile ogniqualvolta calcasse i campi su suolo britannico: i continui paragoni con Tim Henman e Fred Perry e la costante voglia di rivivere la favola del britannico che alza il trofeo di Wimbledon di fronte alla famiglia reale, hanno spesso influito negativamente sulla resa del giovane Andy durante lo svolgimento del più prestigioso evento e palcoscenico del tennis mondiale.

Anche in questo caso specifico, però, lo scozzese è stato abile nel trasformare questa pressione in forza, vincendo in terra amica per ben due volte, nel 2013 e nel 2016 e conquistandosi il titolo di “Sir”, diventando a tutti gli effetti un cavaliere della regina. Ovviamente un atleta va apprezzato per una moltitudine di qualità che può padroneggiare: l’eleganza e la pulizia dei movimenti, la forza fisica che lo contraddistingue dagli altri o il temperamento che mette sul campo di battaglia. Ma, in uno sport come il tennis nel quale la forza mentale fa la differenza come nient’altro, Murray ha dimostrato di meritare un posto tra i più grandi di sempre.

E proprio come Ettore ha affrontato faccia a faccia il suo avversario più ostico, Andy ha scelto di imboccare il viale del tramonto nell’unico modo che conosce e con le stesse qualità che l’hanno accompagnato sul campo durante la sua carriera: coraggio e dignità.