Golpe al cuore

Di Francesco Puleo – Grande è la confusione sotto il cielo del Venezuela. L’evento che ha risvegliato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è il giuramento di Juan Guaidó, giovane rappresentante dell’opposizione al presidente Nicolas Maduro, che il 23 gennaio si è autoproclamato presidente ad interim. Immediato il riconoscimento ufficiale da parte degli Stati Uniti, del Canada e dei Paesi alleati del Sudamerica.

Due giorni dopo, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito hanno lanciato un ultimatum a Maduro, annunciando che se entro otto giorni non convocherà elezioni «eque, libere, trasparenti e democratiche» riconosceranno Guaidó come legittimo presidente. Dall’altra parte della barricata troviamo sia chi difende pienamente la legittimità di Maduro (Bolivia, Russia, Turchia e Iran), sia chi preme per il dialogo (Cina, Messico).

Stando ai resoconti dei media internazionali, Maduro è indifendibile: almeno dal 2014 si parla infatti di violenze, violazioni di diritti umani e di una situazione economica allo sbando segnata da iperinflazione, carenze gravissime di beni di prima necessità e migrazione di massa. Un’analisi approfondita del quadro venezuelano dimostra però che la scelta tra Maduro e Guaidó è molto più complessa e tragica di come appare.

maduroDopo le elezioni del 2013, con una vittoria di misura sul candidato dell’opposizione Henrique Capriles, Nicolas Maduro è ufficialmente subentrato a Hugo Chavez, che dal 1999 ha guidato ininterrottamente il Paese fino alla sua morte nel marzo del 2013.

Dopo due anni attraversati da un’intensificazione della crisi economica e da proteste sempre più violente, le elezioni dell’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano) del 2015 hanno assegnato una maggioranza schiacciante all’opposizione. A quel punto il parlamento uscente si è autoproclamato “parlamento nazionale comune”, con il beneplacito del governo.

Dopodiché, nel maggio del 2016 l’opposizione ha lanciato un referendum per abrogare il mandato di Maduro, in linea con quanto previsto dalla Costituzione. Ebbene, dopo avere affermato che il referendum si sarebbe tenuto prima del 2017 se fosse stato raccolto un numero sufficiente di firme, il 21 ottobre del 2016 Maduro ha sospeso la procedura referendaria. A marzo del 2017 una sentenza della Corte Suprema di Giustizia (controllata di fatto dal governo) ha esautorato l’Assemblea Nazionale; a distanza di qualche giorno la Corte è tornata indietro sui suoi passi.

Un mese dopo Maduro ha annunciato l’elezione di un’Assemblea Costituente nel mese di agosto: l’opposizione ha boicottato le elezioni, parlando di brogli, ma senza presentare una denuncia ufficiale. Dopodiché, la Costituente ha impedito ai partiti d’opposizione responsabili del boicottaggio di partecipare alle presidenziali del 2018, in cui Maduro ha vinto con il 67% dei voti. Gli osservatori internazionali non hanno riscontrato irregolarità procedurali, al netto dei dubbi delle opposizioni accolti da Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite, i quali non hanno inviato alcun osservatore. Il 10 gennaio 2019 Maduro ha iniziato il suo secondo mandato.

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Scontri per le strade della capitale

La conclusione logica di questo resoconto è semplice: Maduro è tutto tranne che un sincero democratico. Allo stesso tempo però è difficile sostenere che l’opposizione sia interamente composta di eroici difensori del popolo venezuelano e dei diritti umani. Solo nel 2017 sono morte 63 persone non identificabili come manifestanti antigovernativi.

Tra queste, il giudice Nelson Moncada, ripetutamente minacciato di morte dall’opposizione per aver condannato il leader della destra estrema Leopoldo Lopez per la guarimba del 2014 che ha causato 40 morti. Lo stesso Lopez che, insieme a Henrique Capriles e Antonio Ledezma ha partecipato al tentato golpe contro Chavez nel 2002 (e che nel 2017 è stato insignito dal Parlamento Europeo del Premio Sakharov per la libertà d’espressione insieme a Ledezma).

Lo stesso Lopez riconosciuto come padrino politico da Juan Guaido, il giovane e autoproclamato presidente ad interim. Procedura, quest’ultima, priva di legittimità costituzionale: l’articolo 233, citato da Guaido, prevede la sostituzione del Presidente della Repubblica in caso di “vuoto di potere”. Un vuoto che, al momento, non c’è (qualcuno ha detto golpe?).

Potremmo chiederci inoltre quale alternativa proponga l’opposizione per il Paese. E scopriremmo, tra le altre cose, che nessuno dei membri di spicco ha mai criticato le sanzioni americane (di Obama e Trump) contro il Venezuela e che, secondo un’indiscrezione del 25 gennaio, Guaido avrebbe già pronto un piano per privatizzare la PDVSA (principale azienda petrolifera del Paese) e chiedere aiuti al Fondo Monetario Internazionale in cambio di riforme strutturali (ovvero tagli ai programmi sociali degli ultimi vent’anni finanziati grazie alla rendita petrolifera).

Il quadro attuale esclude dunque qualsiasi contrapposizione manichea tra buoni e cattivi, ma allo stesso tempo impedisce di assumere una posizione di terzietà di fronte alle sofferenze del popolo venezuelano. Tuttavia, fatti i dovuti distinguo, al momento l’unica scelta possibile è tra dittatura e golpe.


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