Il dramma dei migranti: è colpa dei Francesi. Ma davvero?

Di Daniele Monteleone – Il vicepremier Luigi Di Maio, all’indomani delle centinaia di morti in mare – 117 annegati dopo lo sgonfiamento di un gommone e 53 nel mare di Alboran tra Marocco e Spagna solo la scorsa settimana – ha accusato la Francia di essere, col suo colonialismo, la causa del fenomeno migratorio che provoca le tragedie in mare. Si tratta dell’ennesimo attacco alla “retorica politica” con cui i politici francesi dribblerebbero le proprie colpe su ciò che accade nel Mediterraneo. Ma il collegamento tra politica francese in Africa e i morti in mare è a dir poco risicato, se non improprio.

4246230_0821_di_maio_franciaLe parole di Di Maio sono state, precisamente: «se oggi noi abbiamo gente che parte dall’Africa è perché alcuni paesi europei, con in testa la Francia, non hanno mai smesso di colonizzare l’Africa – e qui l’argomento chiave dell’argomentazione del capo politico Cinque stelle – Ci sono decine di stati africani in cui la Francia stampa una propria moneta, il “franco delle colonie”, e con quella moneta si finanzia il debito pubblico francese».

L’accusa è chiara: la Francia sta ancora oggi colonizzando un pezzo d’Africa e di conseguenza impoverendo diversi territori che pagano le conseguenze di questa “colonizzazione”. Non si è fatta attendere la reazione francese; il ministero degli Esteri ha infatti convocato l’ambasciatrice italiana, Teresa Cataldo, per avere chiarimenti sul caso diplomatico scatenato dalle dichiarazioni del vicepremier italiano.

Pierre Moscovici visits AthensAnche il commissario agli Affari economici Ue Pierre Moscovici ha espresso perplessità sulle dichiarazioni italiane contro la condotta francese in Africa, definendole «provocazioni, poiché il contenuto è vuoto e irresponsabile». Moscovici ha inoltre ricordato come «la qualità delle relazioni tra la Francia e l’Italia è importante» aggiungendo che «le provocazioni di solito squalificano chi le fa».

Ma cos’è questo franco delle colonie di cui parla il vicepremier italiano? La definizione corretta da utilizzare è Franco CFA, che nel 1945 significava Franco delle Colonie Francesi d’Africa, e oggi diventato acronimo di Comunità Finanziaria Africana. Si tratta di una moneta circolante in seguito a un accordo tra la Francia e 14 paesi africani siglato nel 1945 e riconfermato successivamente nel 1958.

I paesi che attualmente fanno parte dell’accordo francese – su base totalmente volontaria – sul franco CFA sono: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. La maggior parte, come è intuibile, ha fatto parte dell’estinto impero coloniale francese.

È in sede di discussione economica che si possono giudicare gli effetti reali di questo tipo di accordo. Ci limiteremo qui a dire che le caratteristiche principali di questa moneta, che lega Francia e i paesi contraenti, sono: il cambio fissato alla divisa europea, dove un euro è pari a circa 656 franchi CFA; la convertibilità delle valute con l’euro garantita dal Tesoro francese; l’esistenza di un fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del CFA e che viene depositato presso il Tesoro francese.

Si tratta in sostanza di uno dei tanti strumenti che si possono utilizzare per facilitare il commercio e assicura un certo grado di stabilità scongiurando il rischio inflazione. Ma cosa più importante non è una “tassa coloniale” come si legge in molti blog nelle ultime ore, poiché la parte di riserve monetarie versate dagli stati dell’accordo del ’58 nelle casse del Tesoro francese resta a garanzia della convertibilità del franco CFA e non viene utilizzata.

franco-cfa-di-battista-di-maio-migranti-2-750x391E va bene, i Francesi sono i cattivi più volte attaccati dal governo giallo-verde. Stavolta però il leader del Movimento Cinque stelle – aiutato da Alessandro Di Battista, l’altro attivista del Movimento che ne ha parlato in diretta televisiva a Che tempo che fa su Raiuno – ha spostato (opportunisticamente?) l’attenzione dalla situazione in mare alla situazione nei paesi africani da cui – secondo lui – partono i migranti per poi morire nelle carceri libiche o nel Mediterraneo. Ma sono i dati dello stesso Ministero dell’Interno a smentire quanto affermato da Di Maio.

catturaSono solo tre i paesi CFA (Costa d’Avorio, Mali e Guinea) tra i primi dieci paesi di origine dei migranti dello scorso anno, e sono anche gli ultimi per numero.

Per il Dipartimento di Pubblica sicurezza nel 2018 gli arrivi da questi tre paesi non arrivano neanche alle 3 mila persone. Per quanto riguarda gli anni 2015, 2016 e 2017 gli arrivi totali da questi paesi sono di circa 20 mila persone per paese – a fronte, ad esempio, dei circa 100 mila nigeriani – con un trend che sembrerebbe in netto calo. Dire dunque che i paesi impoveriti dal “franco delle colonie” si stanno riversando nel Mediterraneo è semplicemente falso. I paesi protagonisti loro malgrado delle tragedie in mare sono altri: Marocco, Tunisia, Eritrea, Somalia, Iraq, Sudan, Pakistan, Nigeria, Algeria; tutti paesi che non hanno nulla a che fare con l’accordo del franco CFA.

Resta comunque difficile collegare il problema delle morti in mare a un fenomeno comunque così distante come il “neo-colonialismo francese”, di cui si può discutere certamente in ben altre sedi e con ben altri argomenti a sostegno o in polemica con i nostri vicini d’oltralpe. Sembra piuttosto che la minaccia alle “soddisfazioni” ottenute da Lega e Cinque stelle – meno partenze, meno sbarchi, meno morti rispetto a quanto fatto da chi è venuto prima di noi al governo – debba essere giustificata in qualche modo, pur sempre lontano. Il più lontano possibile.

Ammesso che la Francia e altri stati occidentali abbiano grosse influenze economiche a proprio vantaggio su diversi stati africani, ed escluso che, nello specifico, il caso francese sia una causa portante del fenomeno migratorio, l’accusa italiana appare una dichiarazione – quella fatta del leader Cinque stelle – di opportunità politica. Siamo pur sempre in vista delle Elezioni europee, segnate dallo scontro con la politica “alla Macron” e dall’occhiolino agli italiani che simpatizzano per il fenomeno Gilet gialli che, come sappiamo, si tratta di un movimento prevalentemente schierato a sinistra.

Non è superfluo ricordare che il minor numero di morti in mare non è sinonimo del miglioramento generico della questione immigrazione: l’incidenza della mortalità nelle traversate è aumentata; un dato, e un fatto, che significa che il rischio di morire è molto più alto adesso che negli scorsi anni.

Un rischio – questo sì, un problema direttamente collegato alle tragedie in mare – che è dato direttamente dalle difficoltà del salvataggio in mare, aumentate di anno in anno: vuoi per l’incapacità della Libia (ricordiamolo, non un safety place come specificato dall’Unione europea), vuoi per il Mediterraneo svuotato delle Ong di salvataggio in mare, vuoi per la lentezza che ora come mai contraddistingue le operazioni di salvataggio.

Conseguenze su conseguenze, tutte riscontrabili e riconoscibili nelle politiche dell’attuale e dello scorso governo, dai porti chiusi al piano Minniti, oltre che nell’incapacità costante dell’Ue di mettere in campo misure speciali e importanti per far fronte alla fuga dall’Africa che continua e continuerà per molti altri anni. Si continua a morire in mare ma la retorica politica non muore mai.


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