Problema sicurezza: panacea di tutti i mali in un’Italia alla deriva

Di Sara Sucato – Panacea, nel mito greco, rappresentava la personificazione della guarigione universale e onnipotente. Oggi il termine indica una sostanza, una soluzione in senso lato, in grado di curare tutte le malattie e risolvere problemi molto complicati. Tuttavia, è ancora possibile credere che un unico rimedio basti ad arginare situazioni difficili, che presentano cause e conseguenze diverse? È possibile proporre una soluzione ignorando l’origine stessa del problema?

Cavalcando l’onda della deriva illiberale delle democrazie europee, l’Italia risponde con un secco alle precedenti domande e prova a conquistarsi un posto sul podio delle nazioni più refrattarie al clima multiculturale portato dalla globalizzazione.

Il Bel Paese trova la propria panacea nel presunto problema sicurezza: una tematica non ben definita, per nulla chiara, ma che rappresenta l’unico male da debellare, l’origine delle difficoltà riguardanti il versante economico e sociale. Chi è causa del problema della sicurezza? L’altro, l’estraneo.

Un altro che per essere tale deve possedere una sola caratteristica: essere diverso da ciò che viene percepito come il prototipo dell’italiano. Che parli una lingua diversa, abbia un nome straniero o professi un’altra religione, per citare solo alcuni esempi; non è come noi, quindi non potrà in alcun modo apportare benefici alla società. Questo clima di incertezza e paura, dato da una scarsa conoscenza del tema, viene giustificato e alimentato dall’attuale governo italiano fin da quando si è insediato, appena cinque mesi fa.

Il panico da sicurezza è stato uno dei principali argomenti della scorsa campagna elettorale, sul quale i candidati hanno concentrato risorse ed energie e, inevitabile risultato, ne è stato il decreto legge “sicurezza e immigrazione” fortemente voluto dal Ministro dell’Interno, Matteo Salvini. L’atto normativo, estremamente controverso nel contenuto, presenta delle problematiche a partire dalla forma: il flusso migratorio verso il territorio italiano è così allarmante da dover essere regolamentato da un decreto legge, per definizione adottato in casi straordinari di necessità e urgenza?

Tra i tanti provvedimenti, è prevista l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la cui durata può estendersi fino a due anni, e la sua sostituzione con una forma di “protezione speciale” che potrà essere conferita solo per casi specifici (sei, nella fattispecie) e sarà valida per un solo anno.

Possibile risultato di questa decisione sarà una maggiore precarietà della sicurezza dei richiedenti asilo e un aumento della clandestinità, poiché l’iter burocratico per l’ottenimento della protezione internazionale verrà protratto nel tempo e ostacolato da ulteriori passaggi. Paradossale, considerando che il decreto si pone l’obiettivo di ridurre la clandestinità portando da 90 a 180 giorni il periodo di permanenza previsto nei centri per il rimpatrio (CPR), misura costosa e dalla dubbia utilità.

Ulteriore misura che porta a dubitare dei buoni propositi con cui sarebbe stato redatto il decreto è la drastica diminuzione dei programmi per l’inclusione sociale e l’integrazione, così come l’impossibilità al prendervi parte per chi non sia titolare di protezione internazionale o minore non accompagnato. Tutte le altre categorie vengono perentoriamente escluse.

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Il tutto si amalgama con la previsione dell’equipaggiamento con i taser anche per la polizia locale, non più solo per i membri delle forze dell’ordine appositamente addestrati.

La spasmodica attenzione del Governo per la sicurezza personale trova sfogo anche su un altro versante, quello della legittima difesa. Sul tema, anche in questo caso, è stato approvato un decreto che estende i limiti entro cui la difesa può essere ritenuta legittima, rendendo più facile ottenere un porto d’armi e strumenti come l’Ar-15, un fucile d’assalto utilizzato in molte stragi negli Stati Uniti.

Chi dice di cercare la sicurezza, sta portando l’insicurezza nella propria casa; sta esasperando un sentimento che potrebbe sfuggire a qualsiasi tipo di controllo legale.

Queste ultime misure non mirano a educare ma a instillare il terrore, a puntare il dito contro chi non può godere dei nostri stessi diritti. Trasformano le vittime in carnefici per assecondare il malcontento generale e tenere le redini di una popolazione che non conosce i giochi di potere e gli interessi reali della politica. Si fa leva sulla confusione, sulla voluta mancanza di chiarezza in merito a determinati concetti, come quelli di sicurezza e clandestinità di cui spesso si abusa, al solo scopo di ottenere consensi in vista di future elezioni e distogliere l’attenzione dai problemi che potrebbero realmente compromettere il futuro della nazione italiana, quali le tematiche legate all’ambiente e al dissesto idrogeologico.

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Davvero, nel 2018, possiamo ancora pretendere di non amalgamarci con altre culture, di chiudere la porta in faccia al cambiamento, figlio legittimo della globalizzazione che abbiamo inseguito e da cui non si può prescindere?


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