Anche la Francia ha i suoi Forconi?

Di Francesco Puleo – Sono passati due giorni da quando ottomila persone hanno sfilato sugli Champs-Elysées e hanno sfidato le forze dell’ordine con barricate e sassaiole. Una protesta che, nella sola Parigi, si è conclusa con 42 fermi e 20 feriti, ma che ha attraversato le strade e le piazze di un intero Paese. Anche alla luce della nascita a Torino di un Coordinamento nazionale gilet gialli Italia, sembra opportuno tentare un’analisi di questo movimento.

Tutto inizia a maggio, quando una giovane ragazza di 32 anni residente a Savigny-le-Temple (Ȋle de France) fa una petizione online per chiedere la riduzione del prezzo della benzina. Per lei, come per tutti i lavoratori e i piccoli imprenditori che vivono nelle zone rurali e periurbane e che per lavorare sono costretti a prendere la macchina, la benzina porta via fino a metà dello stipendio di ogni mese. É tuttavia a ottobre che la petizione supera le 300mila adesioni, in seguito alla decisione del governo Macron di aumentare le tasse su gasolio e benzina per «facilitare la transizione ecologica». Obiettivo condivisibile, se non fosse che a pagare i costi della lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico siano i soliti noti: i poveri.

In mezzo all'articolo (2)Nel giro di poche settimane, la protesta si sposta dai social alle strade. Un movimento spontaneo decide di organizzare blocchi della circolazione in tutto il Paese il 17 novembre. Il segno distintivo dell’adesione alla protesta è per l’appunto il giubbotto catarifrangente che tutti tengono nel cruscotto. In base ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, la mobilitazione coinvolge 287mila persone in tutto il Paese, con più di 2000 blocchi stradali.

Dopo un’intera settimana di mobilitazioni, la protesta raggiunge il suo picco sabato 24 novembre, quando migliaia di manifestanti si danno appuntamento a Parigi e, sfidando l’ordine del Ministro degli Interni Castaner, oltrepassano il confine degli Champs-Elysées e mettono in scena una vera e propria guerriglia urbana. É di stamattina l’annuncio di una nuova mobilitazione prevista per sabato 1 dicembre, sempre a Parigi. Una protesta che, a detta degli organizzatori, sarà pacifica e avrà un’unica e fondamentale rivendicazione: le dimissioni del governo Macron.

4333.0.684171592-kcLI-U3050200819254cYF-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Non sappiamo ancora quale sia il piano del presidente per affrontare la questione. Sappiamo soltanto di un tweet in cui Macron ha affermato di non avere alcuna intenzione di scendere a patti con quelli che lui stesso ha definito «nemici della République». Il Ministro dell’Interno Castaner, dal canto suo, ha attribuito le responsabilità della protesta all’ultradestra di Marine Le Pen.

Non è dato conoscere al momento gli sviluppi di questo movimento, anche e soprattutto per il suo carattere informe e orizzontale: un’onda indefinibile e contraddittoria, in cui trovare echi nazionalisti, retorica antisistema e tanta, tanta rabbia. Nessun soggetto politico ufficiale, da Marine Le Pen a Jean Luc Mélenchon, è riuscito d’altronde a egemonizzare questa massa di semplici “cittadini”.

Alcuni commentatori in Italia hanno tentato un paragone con il movimento dei Forconi e con il grillismo. Se da un punto di vista comunicativo ed estetico il paragone regge (basti vedere i meme sulla pagina Facebook dei gilets jaunes), c’è una differenza fondamentale rispetto ai Forconi: questi ultimi si sono fermati ai blocchi stradali, non sono riusciti a conquistare la piazza, né a mettere a ferro e fuoco la capitale. Se invece, come una parte dei Forconi, anche i gilet gialli finiranno per confluire in un partito d’opposizione gentista guidato da un comico e arriveranno al 30%, ciò dipenderà in gran parte da quello che faranno gli altri partiti: ovvero se, a differenza dell’Italia, ascolteranno la protesta e la articoleranno in un senso o in un altro.