Il lento ritorno alla guerra fredda

Di Noemi Messeri – Lo scontro tra Russia e Stati Uniti sul tema del disarmo nucleare ha mantenuto toni bassi per molti anni. Adesso però Trump alza la voce e dichiara l’intenzione degli Stati Uniti di ritirarsi dal trattato sulle forze nucleari a medio raggio. La pericolosità della decisione si palesa agli occhi degli attori internazionali. Ma cosa c’è dietro?

Il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) fu siglato nel dicembre del 1987 da Stati Uniti e Unione Sovietica. La sua importanza storica è senza eguali: esso prevede l’eliminazione di missili nucleari a raggio intermedio da 500 a 5.500 chilometri e ne impedisce la produzione, la sperimentazione e l’impiego. In questo modo si pose fine alla crisi degli euromissili e per la prima volta venne concordata l’effettiva distruzione di questo tipo di armi, piuttosto che la sola riduzione o ritirata.

Nonostante i patti chiari ed i buoni propositi, la Russia avrebbe violato il trattato a più riprese. In particolare nel 2017 Mosca è stata accusata dall’amministrazione Obama di avere testato ed utilizzato missili da crociera non conformi alle disposizioni. Forte dell’incapacità della Casa Bianca di fornire prove e dettagli specifici, il Cremlino ha sempre negato le accuse ripiegandole piuttosto alla controparte, creando così un diverbio sterile. Per conseguenza, che Washington voglia ritirarsi o rinegoziare l’accordo non è affatto stravagante.

Infatti, a detta di John Bolton, Consigliere per la sicurezza nazionale degli USA, il trattato sarebbe «fuori moda, violato ed ignorato dagli altri Paesi». Dunque la minaccia dell’uscita non viene fuori dal nulla, ma ha da parte sua una serie di valide motivazioni. Essa si rivolge in primo luogo alla Russia, e in secondo luogo, senza alcun dubbio, alla Cina. Pechino infatti, non essendo parte dell’accordo, è libera di continuare a espandere incontrollata il suo già enorme arsenale. Ed è proprio questa esclusione della Cina che renderebbe il trattato privo di reale efficacia.

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Michail Gorbačëv e Ronald Reagan

Le dichiarazioni di Trump in Nevada lasciano intuire che la strategia politica utilizzata è la stessa di Ronald Reagan nel 1978, vale a dire «armarsi per essere in grado di disarmare». Non sempre si ricorda, infatti, che il trattato stesso è stato il prodotto di un delicato e ingannevole gioco di poker. Quando negli anni ‘70 Mosca schierò missili a medio raggio SS-20, la risposta dell’allora presidente americano Reagan, fu quella di guidare la NATO a schierare armi nucleari a medio raggio in Europa. Solo questo costrinse l’Unione sovietica a intraprendere un dialogo sul disarmo.

Donald Trump sembra dunque avere adottato lo stesso modus operandi che agli occhi di molti appare come un pericoloso ritorno alla situazione della guerra fredda. Invero, l’invito alla Cina e alla Russia a non sviluppare le armi nucleari non arriva per vie diplomatiche ma per vie di minacce militari: «Pechino e Mosca devono farsi furbe e venire a cercare un accordo con Washington, altrimenti anche gli Stati Uniti ricominceranno a costruire armi nucleari». Parole che sicuramente non saranno lasciate morte data l’approvazione di un maxi bilancio da 717 miliardi per la difesa da parte del Congresso.

Le reazioni dei principali attori internazionali a tali dichiarazioni non hanno tardato a farsi sentire e sono tra le più varie. Il Cremlino afferma che la distruzione dell’accordo sarebbe un passo molto pericoloso. La Germania ha accolto come “spiacevole” la mossa di Trump. Il trattato sarebbe infatti una pietra miliare per l’Europa e se la politica di pace venisse meno automaticamente verrebbe meno la sicurezza europea. Di contro la Gran Bretagna approva fermamente la decisione, incolpando la Russia di mettere in pericolo il patto sulle armi nucleari e invitandola a fare chiarezza ed a rimettere le cose in ordine.

Russian President Vladimir Putin shakes hands with U.S. President Donald Trump as he arrives to attend a commemoration ceremony for Armistice Day, 100 years after the end of the First World War at the Arc de Triomphe, in Paris

Vladimir Putin stringe la mano a Donald Trump

In caso di effettiva uscita dal trattato, gli Stati Uniti dovranno consegnare alla Russia a tempo debito una notifica formale di ritiro e poi dovranno passare sei mesi prima che possano effettivamente lasciare l’accordo. Prima che tutto questo avvenga, un incontro tra Trump e Putin potrebbe salvare lo storico trattato. Pertanto, dopo avere annullato il colloquio previsto per domenica 11 novembre a Parigi, i due Capi di Stato si sono dati appuntamento il 30 novembre a Buenos Aires in occasione del vertice del G20.

Se il trattato INF cedesse, l’unico accordo internazionale tra Stati Uniti e Russia rimarrebbe il new START che scadrà nel 2021. In assenza di posizioni in favore o contro l’estensione di quest’ultimo, se non si avrà un sostituto, allora non ci saranno più limiti vincolanti in materia nucleare sui due Stati con i più grandi arsenali al mondo: e a quel punto sì che si tornerebbe davvero alla situazione della guerra fredda.