«Liberate la bellezza», il dono in arte fotografica di Francesca Rea

Di Simona Rizza – «Siamo belli perché siamo diversi». Inizia così la mia chiacchierata con Francesca Debole, in arte Francesca Rea, giovane fotografa di origini ennesi, laureata all’Accademia delle Belle Arti di Palermo ed instancabile donna dotata di sottile sensibilità e di una ricca mente creativa. 

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Il suo progetto Bellezza Estetica nasce dalla volontà di denunciare il disagio sociale di ogni donna che, a causa delle pressioni di una società legata a canoni e standard di bellezza preimpostati, vive ogni giorno un obbligo quasi morale di sentirsi inadeguata davanti al suo specchio.

Francesca Rea mi racconta che: «l’obiettivo ultimo del progetto non stava tanto nella realizzazione delle foto, quanto nella possibilità di creare un legame con i soggetti, capace di portare queste donne a cambiare la prospettiva che avevano di se stesse. Per molte di loro, lo scatto è stato solo l’ultimo atto di un percorso molto più lungo di liberazione da costruzioni inconsciamente insite nelle loro menti».

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Le protagoniste di questi scatti si raccontano attraverso le loro evoluzioni fisiche e sono spesso associate ad ambienti, paesaggi naturali o luoghi particolari, che hanno scelto perché legati a scorci delle loro vite, vissuti in estrema armonia e lontani da pregiudizi.

Sono donne con caratteristiche uniche, le cui singolari fisicità, espresse in nudo fotografico, urlano una nuova bellezza, che vuole essere esempio ed ispirazione, affinché altre trovino il coraggio di valorizzare la propria diversitàLa naturalezza delle singolarità di ogni corpo umano ci dimostra come l’unica verità della bellezza risieda intrinsecamente nella diversità stessa.

Nella realizzazione di questo progetto fotografico, Francesca Rea ha trovato ispirazione principalmente negli studi e nelle opere di grandi fotografi, quali Arno Rafael Minkkinen, per le sue pose plastiche che lo rendono un tutt’uno con il paesaggio naturale, ed Elina Brotherus, per l’accurato studio nei rapporti tra il soggetto e lo spazio.

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La scelta dei paesaggi e degli ambienti naturali, in cui sono immersi i corpi delle donne, è tutt’altro che casuale: tramite l’accostamento dei corpi femminili ad elementi della natura, l’artista vuole confutare l’ipotesi dell’esistenza di fisionomie che possano dirsi innaturali, dimostrando come ogni singola forma che il corpo umano possa assumere sia riconducibile al concetto intrinseco di natura.

Grazie ad un forte impatto visivo, frutto delle diversità uniche dei corpi protagonisti di Bellezza estetica, Francesca Rea riesce con la sua arte fotografica a dimostrare l’insostenibilità sociale di canoni estetici o regole univoche che ordinino la bellezza. Come precisa l’artista: «la bellezza è più paragonabile alla purezza di un sentimento, che può assumere forme differenti, essendo indissolubilmente legato alle singolarità di ogni individuo».

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Accettare il proprio corpo e abbracciare l’idea di una bellezza insita in tutto ciò che è semplicemente così come deve essere, non è un passo facile. La difficoltà sostanziale di un tale cambiamento di prospettiva non è legata esclusivamente alle debolezze psicologiche di ciascuna, ma deriva piuttosto dai messaggi mediatici, cui siamo sottoposte quotidianamente. Le donne sono ossessionate da comunicazioni, che rafforzano le insicurezze e che spingono tante all’isolamento sociale.

L’apporto costante di tali messaggi mediatici è stato sufficiente a diffondere nella società il convincimento che esistano canoni rigidi ed esclusivi per appartenere alla famiglia dei belli.

I social media hanno costituito un mezzo di potente diffusione anche per gli ideali del movimento femminista, rinvigorendone la portata ed ampliandone il dibattito. I messaggi pubblicitari veicolati dal marketing della moda e della cosmesi sono stati modificati nel tempo, anche grazie alle pressioni di campagne quali #ImWithHer o #IoTeCreo, ma soprattutto dalla lotta femminista del body positivity.

L’obiettivo del movimento è quello di combattere e denunciare l’imposizione di canoni estetici e standard di magrezza irraggiungibile – che torchiano molte donne sotto pressioni psicologiche, conducendole all’emarginazione sociale – e di diffondere, al contempo, un messaggio di accettazione del proprio corpo e della propria fisicità.

Malgrado lo sforzo ed i chiari principi di fondo di una tale campagna di sensibilizzazione, la decantata positivity a cui aspira il movimento appare, ancora oggi, una meta lontana: che si tratti di skinny o curvy, i canoni estetici a cui il corpo femminile deve adeguarsi rimangono oggetto di quotidiane disquisizioni, lasciando un ruolo marginale alla seconda essenza che, sulla base della filosofia classica greca, insieme alla fisicità, costituiva la bellezza, ossia il buono, l’essere, la legittima diversità di ogni individuo.

La necessità tanto proliferata di prototipi a cui conformarsi, siano essi skinny o curvy, marca con più forza la portata del disagio insito nella società che viviamo. Il rifiuto generale di uno standard di bellezza, tuttavia, è un passo a cui, forse, non siamo ancora pronti, soprattutto se si considera che un cambiamento così radicale determinerebbe l’abbandono della logica del mercato del beauty. Proprio per tale ragione, anche la body positivity si è, in definitiva, tramutata in un brand pubblicitario, costituendo un’immediata e facile opportunità per le imprese del settore della moda di ripulire il loro marchio con il minimo sforzo, manifestando all’esterno una mission etica rinnovata.

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Dimostrando una forte scelta comunicativa di controtendenza, Francesca Rea individua, come protagoniste del suo progetto fotografico, Donne i cui corpi raccontano, attraverso segni e colori indelebili, le singolarità di vite vissute e costruite giorno per giorno. Sono Donne con caratteristiche che le rendono uniche, ma la naturale forza e la semplice bellezza che esprimono rivelano la vita e la fisicità di ognuna di noi.

«Spero che il coraggio delle protagoniste dei miei scatti rafforzi la considerazione che ogni Donna ha di sé», conclude Francesca Rea, lanciando un profondo messaggio di coraggio: «Apriamo gli occhi da questo incubo visivo e iniziamo a godere della semplicità che possediamo. Liberiamoci dai canoni, liberiamo la bellezza».


 

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