La tempesta perfetta sui mercati

Di Francesco Paolo Marco Leti – Venerdì pomeriggio, a mercati chiusi, è arrivata la nuova valutazione di Moody’s sui titoli di debito del Paese e la sua valutazione non è stata per nulla positiva. I nostri titoli di debito sono stati declassati da Baa2 a Baa3, appena di un gradino sopra il livello junk (spazzatura) di Ba1. Le ragioni addotte per il declassamento sono state la decisione del governo di aumentare la spesa in deficit e al contempo l’assenza di un piano coerente di riforme che favorisca la crescita, oltre a una previsione fin troppo ottimistica sulla crescita del PIL del prossimo anno.

Nel frattempo nei giorni di giovedì e venerdì, lo spread fra i titoli di Stato nazionali e le controparti tedesche ha avuto diverse fiammate, fino a toccare la quota di 340 punti base. Questo differenziale non era raggiunto dal 2013, giusto all’indomani della crisi del debito sovrano in Europa. Il tasso d’interesse, sul mercato secondario, del BTP ha raggiunto il 3,8%. Le ragioni di queste fiammate sono da cercarsi nella continua polemica fra il Governo italiano e la Commissione Europea relativamente al contenuto della futura legge di bilancio. In particolare, nella giornata di giovedì, la Commissione ha fatto intuire che, in assenza di aggiustamenti, la legge di bilancio sarebbe stata bocciata.

Un’altra ragione della fibrillazione dello spread è da addebitarsi alle recenti tensioni nella maggioranza di Governo circa il condono fiscale; la prospettiva di una possibile crisi non incoraggia a investire nel Paese.

Dulcis in fundo, i dati pubblicati dalla Banca d’Italia sulla fuga di capitali dal nostro debito di agosto (17,4 mld di euro), accompagnati dai dati disastrosi dei mesi precedenti (complessivamente quasi 60 mld), hanno dato l’ultima mazzata.

Nei prossimi giorni la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi e ci si potrebbe aspettare una nuova bocciatura, questa volta da parte di Standard & Poor’s, che potrebbe provocare una nuova impennata del rendimento dei titoli di Stato nazionali fino al raggiungimento della famigerata quota 400.

Nel caso in cui lo spread raggiungesse quota 400 scatterebbe il si salvi chi può e probabilmente il Governo sarebbe costretto a modificare la manovra, come del resto aveva dichiarato il Ministro Savona qualche giorno prima, istantaneamente smentito dal resto del Governo. Le ragioni di questo cambiamento non andrebbero ricercate nella finanza pubblica, ma nel settore bancario nazionale che detiene circa 400 mld di debito in titoli di Stato.

In sostanza, una diminuzione del valore dei titoli di Stato comporterebbe una diminuzione del valore del portafoglio titoli detenuto dalle banche e, come se questo non fosse già sufficiente, questa diminuzione impatterebbe direttamente sul Common Equity Tier 1 Ratio (Cet 1), cioè sul patrimonio di riserva della banca, nel quale è valutato al prezzo di mercato attuale. Quindi, ogni minima oscillazione di prezzo in negativo impatta sul Cet 1 e deve essere coperta da nuove risorse in base alla regole di Basilea.

In sintesi, la svalutazione del debito pubblico nazionale creerebbe un buco che dovrebbe essere coperto attraverso aumenti di capitale che sarebbe difficile, se non impossibile, trovare nelle condizioni attuali del mercato. Le difficoltà delle banche, innescherebbero un processo di crollo degli investimenti, una nuova stretta creditizia e, con buona approssimazione, una nuova recessione.

Anche la finanza pubblica, se il differenziale si mantenesse stabile sui 400 punti per lungo tempo, avrebbe problemi: le nuove emissioni di debito (lo Stato rifinanzia circa 400 mld di debito ogni anno) dovrebbero scontare tassi d’interesse più alti che, nel tempo, potrebbero diventare insostenibili. Infine, non bisogna dimenticare che a dicembre la Banca Centrale Europea chiuderà i rubinetti, smettendo di alleviare la pressione sul nostro debito.

Nella giornata di oggi attendiamo la replica della Commissione alla lettera del nostro Governo nella quale si conferma l’indisponibilità a cambiare il bilancio. Anche questo potrebbe creare fibrillazioni sullo spread. In sintesi, potrebbe accadere che, in capo a pochi mesi, possa affacciarsi all’orizzonte il famigerato “cigno nero” del quale avremmo, assolutamente, fatto a meno.


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