Per l’amor del cielo

Di Gaia Garofalo

“Perché mamma non parla più? Perché Amira si è nascosta? Perché devo fare attenzione a dove metto i piedi? Perché le stelle non le vedo?”

«Ghassan! Dove hai la testa? Servi il signore! Mezzo chilo di datteri!» – mi giro di scatto, via dai miei pensieri, e vedo un alto uomo, con i capelli chiari, magro (ma non più di me) e gli occhi blu.

«Signore di dov’è lei? Non è di qui, si vede», sorridente risponde «Vengo dalla Francia».
Sgrano gli occhi. Non so molto, non sono mai andato in una scuola importante, solo in quella di quartiere in cui mio zio fa il maestro. Lui ha sempre cercato d’insegnarci qualcosa, e una cosa di questo “qual” , è la geografia. “Dove sta il mondo di altri” diceva lui. Diceva sempre lui che il nostro mondo era il terzo, gli altri erano primi, secondi, altri persino quarti. Tutto sì nello stesso posto, ma in mondi diversi. La Francia per esempio sta nel mondo più bello di tutti, il primo.

«E lei signore? Lei come si chiama?»
«Antoine»
«Signor Antoine, e perché è venuto qui? La Francia è bella»
«Ci sei mai stato?»
«No di certo signor Antoine, ma l’ho vista nella cartolina del mio amico Omar»
Questa volta non sorride. Guarda in basso, un po’ triste. Che ho detto? Forse non gli piacciono le cartoline.
Ma poi riprende subito, come quando dopo il punto e a capo ci si ferma solo per un po’.
«Ti chiami Ghassan? Somiglia tanto ad una parola della mia lingua:  “Garçon” significa “ragazzo”»
«Oh davvero? Ghassan anche da noi vuol dire “ragazzo, giovane, fiore della vita”»

Il signore mi sorride di nuovo, come se già se lo fosse immaginato che quel nome, “fiore della vita”, mi sarebbe potuto stare bene. Mi sentivo così lusingato ad aver qualcosa di così lontano da qualcosa di così vicino; e lui lo faceva sembrare proprio come non l’avevo mai sentito.
Mio padre mi prende per un braccio e mi rimprovera con un dito «Ghassan! Ancora qui che parli?! Ti ho detto di dare mezzo chilo di datteri al signore!» poi guarda Antoine e con sguardo quasi imbarazzato, come se quegli occhi strabuzzanti di rabbia non siano mai usciti fuori, dice «Mi perdoni signore, mi perdoni per avere un figlio così pigro e così chiacchierone.»

Antoine ha la bocca ancora sorridente, reduce da una risatina «Non si preoccupi, anzi, suo figlio Ghassan è un bambino molto intelligente, non mi disturba affatto.»

Metto le mani dentro il sacco di datteri e peso 100 grammi, 200, 250, 300, 400…500 grammi! Metto i datteri in un sacchetto e dico «Sono 377.15 dihram». Prende dalla tasca un po’ di monete – 380 dihram – e li poggia sul bancone. Dice che non c’è bisogno che io gli dia il resto. Ha delle belle dita lunghe.

«Signor Antoine! Signor Antoine! Non mi ha detto perché è venuto in un posto così invece di rimanere in quel posto così bello!»
«Sono qui per l’amor del cielo. Sono un astronomo, studio le stelle. Sono qui per una conferenza di astronomia molto importante.»
“Studio le stelle”. Lo ripetei un po’ di volte nella testa e poi lo ripetei ancora una volta ad alta voce «Studio le stelle? Astronomo? Che vuol dire?»
Papà continuava a mandarmi occhiatacce; c’era tanta gente ed io curiosavo invece di lavorare.
Strappo un pezzo di carta e prendo una penna; bisbiglio al signor Antoine che volevo saperne di più di questo astronomo e che se mi avesse scritto il suo indirizzo, il pomeriggio seguente sarei andato a trovarlo.
L’inchiostro era blu. Lo ripiega al posto mio e stretto stretto lo conserva dentro la mia mano. Furtivo come un ladruncolo, lo nascondo dentro le mutande. Le tasche erano bucate.
Antoine saluta me e mio padre, e così facciamo noi. Girato di spalle mio padre cambia sguardo verso Antoine, diventa severo. Lui non è molto accogliente con gli stranieri, ma non per cattiveria, ha solo paura che intelligente come sono, io possa diventare un sognatore.

All’interno dell’Oea Hotel si possono incontrare le persone più importanti e più ricche che possano mettere piede a Tripoli. All’interno dell’Oea Hotel io ho incontrato Antoine.
Questa volta era vestito meglio, ma nei suoi modi era sempre molto sciolto. Camicia bianca – stirata, pantaloni blu – buon tessuto, scarpe nere – lucenti e persino occhiali da vista – lenti pulite.
Mi abbraccia subito e mi dà due baci, uno su ciascuna guancia. E’ felice di vedermi, di vedere che ho messo persino il mio unico paio di calzini buoni per l’occasione. Figuriamoci se sapesse delle mie mutande più pulite delle sue suole. Mi offre un cornetto all’arancia e non rifiuto. Mi chiede della mia brevissima vita che aveva da poco compiuto il suo undicesimo compleanno ed io rispondo quanto vuole. Dico della mia famiglia, della mia casa, della mia scuola, di mio zio, del mio lavoro e lui tutto preso ed interessato immagazzina in un archivio immaginario molto scombinato tutte le mie parole. Ma si stava per fare tardi, e già non mi andava più. Mi aveva così tanto svuotato di storie, che proprio quella parola si era persa. Io ero lì per comprendere quella parola, quella parola che ora non vedo più! Astropolo? Astrosimia? Oh! No! Dimenticata! Persa!
Non mi andava più e così dissi che era tardi e dovevo proprio andare. Non dissi niente di quella parola perché ormai era andata, come le mie illusioni. Colpa mia che sono pigro. Colpa mia che sono chiacchierone.

“Astronomia!”

Non ho il tempo di pensare che ecco ritrovata la parola! Era nascosta magari sotto le macerie della mia paura d’illudermi; ammetto di aver paura di diventare grande ogni volta.
Slanciato, scattato da terra come fossi stato seduto su di uno spillo, corro veloce prima che la bomba della curiosità mi abbandoni un’altra volta. Ririncontro Antoine proprio davanti all’entrata dell’Oea Hotel.

«Antoine! Antoine! Eccomi! La parola è ASTRONOMIA? Giusto? Sì che è giusta! L’ho ripetuta mille volte per non scordarmela mai più più più! Cos’è?! Cos’è l’astronomia?!»
Antoine ha uno sguardo di padre, dei papà saggi e sensibili, uno sguardo di padre che un giorno vorrei avere tanto io.
«Calma, calma ragazzino! Come siamo frettolosi oggi! Intanto andiamo a mangiarci un boccone» e si mette a ridere più di tutti gli altri giorni prima.
Placato l’affanno, rido insieme a lui.
Kebab, cuscus e dolci di miele. Io e Antoine rotoliamo allegramente sulle nostre pance. Se avessi tutti i soldi di Antoine, io mangerei così tutte le sere, e sarei così grasso che dovrei allargare la porta di casa mia ogni qualvolta che prendo così tanti chili da non entrarci più. Rotoliamo rotoliamo e finiamo sotto al cielo. Questa sera c’è silenzio a Tripoli; le stelle sono stese come gocce di rugiada sulle lenzuola del mio cuore.
«Cos’è l’astronomia?»
«L’astronomia è la legge delle stelle. L’astronomia è la scienza, ossia la conoscenza, che osserva e spiega il cielo. Gli astronomi come me studiano l’origine e l’evoluzione di ciò che forma l’universo.»
La rugiada ghiaccia le lenzuola e so dire soltanto «Brillano.»
«Sì. Le stelle brillano caro Ghassan, alcune sono persino morte.»
«Sembra così lontano…» mi viene un po’ da piangere
«Ci puoi andare, magari da più grande!»
«Antoine! Ma che dici? Non prendermi in giro!», e invece proprio là mi guarda serio, chiude un attimo gli occhi, e nel frattempo la sua bocca torna di nuovo con gli angoli all’insù e gli occhi si aprono, più fieri di prima. Mi dà una pacca sulla spalla.
Io traccio i sentieri, i possibili nascondigli.
Rugiada salata proprio dai miei occhi.

“Domani mattina niente scuola. Domani pomeriggio gioco con Ahmad a pallone e poi magari giochiamo ad un due tre…stella!”

La matematica è la mia preferita, invece il mio migliore amico Ahmad la odia. Lo zio ci doveva interrogare sulle tabelline e avevo promesso ad Ahmad che non ci sarebbero stati problemi, che tanto io gli suggerivo tutto come sempre. Ma proprio questa mattina dovevo andare ad aiutare mio padre al mercato, perché il pomeriggio di ieri non ho lavorato, ero da Antoine. Ahmad se la doveva cavare da solo. Ed io solo l’ho lasciato.
Stasera la mamma ha preparato zuppa di ceci e lenticchie. Non parla più da quando mia sorella si è nascosta.
Papà oggi mi ha detto che a giocare a nascondino con Amira adesso c’è pure Ahmad con lo zio e stanno sotto il Trono di Allah. Dice che io li posso trovare nel mio cuore quando voglio. Tana libera tutti.

“Perché la vita scorre? Perché la mamma piange? Perché ieri avevo undici anni? E’ ora di partire”

Ieri avevo undici anni, oggi soltanto altri dieci in più. Sapevo che il mio paese non sarebbe stato mio per sempre, è solo un passaggio, così come questa barca stretta su questo mare largo e così come persino Lampedusa, la Terra intera. Io voglio andare sulle stelle. Voglio fare l’astronauta. Quello è il mio posto.

Siamo 458 persone, e mi sento come quando dieci anni fa sognavo di essere grasso e di avere una porta sempre più larga per stare comodo. C’è gente che ha dovuto fare già altri giorni di viaggio per arrivare a Tripoli, mi dicono che io anzi sono fortunato a stare già qui, mi dicono che il tempo di qualche giorno e arriviamo in Italia, uno di quei primi mondi, mi dicono.

Cara mamma, perché?
Vorrei poterti dire ciò che non mi hai mai detto. Vorrei che mi abbracciassi un’altra volta, ed un’altra, un’altra, un’altra. Mamma mia dolce, ninna nanna che mi culla in questo viaggio, sei tu a cui devo l’amore che non mi ha mai abbandonato. Io ti amo mamma mia dolce, ti amo come te che ami me quando sempre e solo per me lasci un po’ di lenticchie in più e la coperta più calda . Ti amo come la luna e il sole. Mamma mia bellissima dimmi, ti arriva la mia luce? I miei chilometri? Madre mia che onoro ad ogni mio tramonto. Leggo costantemente il tuo biglietto che hai lasciato zitta zitta dentro la tasca sinistra dei miei pantaloni:

Un giorno ti ho visto sulle stelle;

 con l’amore mio io già ti amavo.

 Amore che sempre ho baciato sui tuoi capelli.

Figlio tuo,

Ghassan

Siamo partiti che eravamo 458 persone e solo il secondo giorno siamo a meno trenta. Tra questi trenta c’erano anche creature con meno dieci anni miei. Voglio tornare a quegli anni per aver l’infanzia come scusa alle mie dannate domande. Le sento, sembrano preghiere.
Per tentare la fortuna ho provato a parlare con qualcuno prima d’impazzire e con tutti quei dubbi diventare una moschea. Lui si chiama Abdullah, viene da Kabul. Dice che è da sei anni che non riesce a dormire, che il mondo gli ha tolto via tutto che aveva 10 anni.
Le stelle non mi toglieranno mai nulla, almeno loro.
Raggomitolo il mio mento tra le mie spalle.

Caro papà, perché?
Scusami se non ce la faccio proprio a dirti che arrivato in Italia, mi fermerò lì. Scusami se sono un grasso giovane ragazzo che ha la porta stretta. Mi farò perdonare con i soldi che vi manderò ogni giorno, ogni attimo in cui sarò pagato per ogni mio sforzo, sia fisico, che mentale, che di cuore.
“Cuore, cuore…”papà, è grazie a questo tuo cuore che ora vivo. Papà forte, papà roccia, padre mio che onoro ad ogni mia alba. Abbracciami, e in quell’abbraccio sii acqua sui miei affetti più inspiegabili.

Figlio tuo,

Ghassan

Quinto giorno e altri cinquantadue non ce l’hanno fatta. Sicuri che questo primo mondo non sia fuori da qua?
Il mare è doloroso.

Caro Antoine, perché?
Ricordati ogni singola domanda della mia giovinezza. Anche di questa che adesso se ne va.
Antoine felicissimo, ricordi quel libro che mi hai dato l’ultimo giorno a Tripoli? Ci credi se ti dico di essermi convinto di essere io quel piccolo principe? Piango ancora ogni volta che penso all’elefante nel boa. Piango per questo perché penso che sia proprio quel “Un elefante nel boa? E’ un cappello” il motivo per cui io e altre 458 persone siamo state costrette a scappare via. Credo che sia questo a farci saltare in aria, a buttarci addosso armi, a non guardarci in faccia. Ci credi se te lo dico? L’asteroide B612 mi aspetta, saggio Antoine.

Fiore della tua vita,

Garçon

Oh caro! Caro me! Mi dicono che la vedono! La vedono! Oh caro! Caro me! Il mare ieri notte specchiava le stelle ed ero il marinaio del cielo! Sono marinaio della mia stella, del mio Sole!

Caro Allah, perché?
Perché ho sentito un botto? Perché c’è fumo? Perché tutto gira? Perché il fuoco brucia? Perché il fuoco è rosso? Perché l’acqua bagna? Perché l’acqua è trasparente?
Il mare stanotte affoga le stelle morte ed io con loro. Sono il marinaio del cielo.

Fratello vostro,

Ghassan