Sindacati nelle Forze Armate: posto a sedere al tavolo delle trattative

Di Giuseppa Granà – Con la storica sentenza 120 del 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 ovvero il Codice dell’ordinamento militare, il quale afferma che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali […], non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato[…], non possono esercitare il diritto di sciopero».

Questo articolo riprende quanto contenuto all’interno dell’articolo 8 della legge n. 382 dell’11 luglio 1978, secondo il quale «I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali». La Corte ha così riconosciuto il diritto ai membri delle Forze Armate di costituire e prendere parte ad associazioni professionali a carattere sindacale.

Si tratta di una sentenza epocale, figlia delle manifestazioni di militari avvenute negli anni settanta a Milano, i quali protestavano a fianco dei metalmeccanici con l’obiettivo di ottenere condizioni di lavoro migliori. Essa incide sulle condizioni lavorative di Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri e Guardia di Finanza.

La vicenda è iniziata dal ricorso al Tar del Lazio, da un Vicebrigadiere della Guardia di Finanza e dall’Associazione solidarietà diritto e progresso – AS.SO. DI. PRO, nata negli anni Novanta per difendere anche in ambito militare i diritti garantiti dalla Costituzione – contro la nota con la quale il Comando generale della Guardia di Finanza aveva rigettato l’istanza volta a ottenere l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale tra il personale dipendente del Ministero della difesa e del Ministero dell’economia e finanze, o ad aderire ad altre associazioni sindacali esistenti. Questo rifiuto era stato motivato dal divieto sancito al comma 2 dell’articolo 1475 del D.lgs. 66 del 2010 di cui prima.

Ai fini decisionali è stato fondamentale il principio di diritto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la restrizione dell’esercizio del diritto di associazione sindacale dei militari non può arrivare sino alla negazione della titolarità del diritto, in quanto si andrebbero a violare gli articoli 11 e 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, circa la libertà di riunione e di associazione e divieto di discriminazione.

Quest’ultima affermava che per i membri delle Forze Armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato, gli Stati possono prevedere delle restrizioni legittime, senza però mettere in discussione il diritto alla libertà di associazione. La legge ha imposto sino a oggi limitazioni nell’esercizio di alcuni diritti, come quello di associazionismo, per garantire l’assolvimento di compiti spettanti alle Forze Armate nonché il divieto di avvalersi del diritto di sciopero.

La Consulta ha dato sostanzialmente ragione al militare e all’Associazione, specificando però che vi possono essere una serie di restrizioni nei confronti di determinate categorie di pubblici dipendenti. Occorre verificare in quale misura questa facoltà possa essere esercitata, operando un bilanciamento di valori.

Da un lato bisogna considerare la natura del servizio militare, la quale richiede disciplina affinché l’organizzazione militare sia efficiente a tutela dell’interesse nazionale, e dall’altro lato i diritti costituzionali che spettano indistintamente a ciascun cittadino. A riguardo ha valenza l’articolo 52 comma 3 della Costituzione, secondo il quale «L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», e tale spirito è la libertà sindacale.

Quanto accaduto in Italia non è un caso isolato. Infatti anche in Francia era vietata la costituzione all’interno delle Forze Armate di sindacati militari. Nel 2014 la Corte di Strasburgo si è pronunciata  in merito, sostenendo che un divieto assoluto in materia non può essere imposto alle Forze Armate, alle quali non deve esser negato il diritto di difendere i propri interessi professionali.

Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, M5S, ha annunciato con un video su Facebook di aver emanato una circolare volta a disciplinare la costituzione delle associazioni sindacali in ambito militare. La circolare riprende quella in precedenza diffusa dall’Arma dei Carabinieri, la quale aveva già individuato una serie di paletti ancor prima che si parlasse dell’emanazione di una legge. Sebbene il Ministro abbia riconosciuto il diritto ciò non è sufficiente, in quanto occorre una legge che disciplini la materia, avendo prima aperto un confronto tra maggioranza e opposizione.

Il Movimento Liberazione Italia, nella figura di Antonio Pappalardo, esperto in ambito militare e politico, ha invece contestato quando asserito dal Ministro. Egli ha sostenuto che in materia di diritti occorre una legge, non una circolare, e che debbano includersi all’interno di una associazione professionale a carattere militare anche il personale non più in servizio.

L’esigenza di una legge sul diritto di associazione sindacale delle Forze Armate è, secondo l’opinione di chi vi scrive, contradditorio. Se è vero che l’associazione sindacale è libera, non dovrebbero essere previste restrizioni, soprattutto circa i metodi di azione dei sindacati, e pertanto non dovrebbero esservi interferenze da parte dello Stato.

Sindacalizzare il settore militare appare superfluo, in quanto esistono organi di rappresentanza militare come il CO.CE.R. – Consiglio Centrale di Rappresentanza previsto – che si occupa nello specifico di presentare proposte circa la condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari. Infine, chi oggi decide di intraprendere la carriera militare lo fa con la consapevolezza di servire lo Stato in toto, di ricevere un’istruzione rigida tipica del settore che non può essere sindacalizzato facilmente.