Donne e cartelloni, gioie e dolori

Di Gaia Garofalo – È apparso tra le vie dei manifesti pubblicitari italiani un nuovo spot, ma sempre dello stesso vecchio stampo rancido: l’azienda DVP ITALIA ha tappezzato la città di Palermo con una donna seminuda in lingerie nera; si potrebbe dire «Nulla di strano», dato che il marchio in questione fabbrica, per l’appunto, biancheria intima. Peccato per la frase stampata a lato: «Puoi ottenere ciò che vuoi se sei vestita per farlo», come ad indicare la figura femminile non solo ipersessualizzata, ma buona ad arrivare ai suoi obiettivi solamente se svestita e provocante.

Questa è solo l’ultima della sfilza di “trovate” poco originali e molto volgari di promozioni sessiste presenti nelle strade del capoluogo siciliano: quella della ditta AffarinOro ritraeva il fondoschiena di una donna con il simbolo di un salvadanaio stampato su un perizoma semi-abbassato accanto alla scritta «Pagare e sorridere».

vintageads4Pochi anni fa, ancora, sui cartelloni pubblicitari di una linea di traghetti per la Sicilia una scritta rivendicava orgogliosamente, sullo sfondo di un gruppo di ragazze fotografate di spalle mentre si imbarcano: «Abbiamo le poppe più famose d’Italia». Sono solo pochi esempi tra migliaia di pubblicità sessiste, che portano avanti stereotipi e modelli discriminanti, relegando le donne a ruoli secondari, decorativi o iper sessualizzati. Una tendenza nella quale l’Italia vanta un triste primato; il rapporto Onu sulla violenza di genere nel nostro Paese redatto nel 2012 da Rashida Manjoo sottoscrive che nel 2006 il 53% delle donne comparse in TV era muta, il 46 associata a temi inerenti al sesso, alla moda e alla bellezza; solo il 2% a temi sociali e professionali.

Le pubblicità sessiste più diffuse sono quelle che fanno leva sul richiamo sessuale, ovviamente, abbinando un’immagine provocante a un prodotto. Per non parlare poi del decennale silicone Saratoga. Esiste anche la tendenza a far diventare la donna stessa parte del prodotto, basti pensare a tutte quelle volte che andando a qualche evento in un ristorante di sushi, l’immagine di copertina sia sempre una donna nuda che fa da vassoio al menù intero.

E poi c’è il problema degli stereotipi di genere, forse l’aspetto più difficile da combattere, ma anche quello più pericoloso. Negli spot italiani quando compaiono personaggi di entrambi i sessi l’uomo è mostrato nell’atto di lavorare, mentre la donna è raffigurata mentre fa shopping, stira, cucina per il ritorno a casa del marito. Ai personaggi femminili sono quasi sempre legate attività superficiali, quando non stupide. Un esempio recente di pubblicità che veicola stereotipi è quello dello spot di una nota marca di pannolini, in cui il bambino era raffigurato come un piccolo esploratore o un astronauta e la bambina come una vanitosa civettuola.

Un’altra tipologia di pubblicità è, purtroppo, quella che ha anche delle conseguenze concrete e distruttive dell’individuo: quante di noi, guardando una super modella perfettamente photoshoppata tra le pagine delle riviste,  non è corsa qualche secondo dopo, a cercare nel web diete, esercizi, prodotti e così via? E quante di noi seguono su ogni possibile social, una miriade di profili di donne sconosciute e favolose, solo per sentirsi desiderose di quella loro vita dentro a quel loro corpo? Probabilmente se solo passassero tra i media i veri corpi di quelle stesse modelle, con tutti i loro pregi e con tutte le loro – le nostre – meravigliose brutture, non avremmo migliaia di deprimenti casi di disturbi alimentari registrati già all’età preadolescente di 11 anni.

Esistono anche marchi come quelli di ASOS, che ha bandito dalla loro politica il photoshop agguerrito, lasciando vedere alle proprie clienti e ai loro clienti le piccole realtà della pelle dei loro modelli e modelle: smagliature, cellulite, peli incarniti, ceretta non propriamente impeccabile.

Giriamo per queste banalità grossolane pubblicitarie come se mancassero le idee giuste e accattivanti per una buona promozione dei prodotti; pecchiamo d’ignoranza, come al solito, e abbondiamo di impatto: inutile impatto. Il sesso, la donna come oggetto, non sono le uniche idee (possono davvero definirsi tali?) da proporre ad un pubblico, sicuramente quello più facile da vendere e da comprare, ma non quello più bello e giusto, dato che anche la grafica può essere ritenuta un’arte, non solo come mero canale di messaggio subliminale; anzi, ci si deve sorprendere della creatività che possiedono i bravi grafici pubblicitari. Non sia mai che poi gli stessi ideatori, siano donne.