Il rallentamento “annunciato”

Di Francesco Paolo Marco Leti – Gli istituti statistici e di raccolta di dati macroeconomici sembrano confermare quanto annunciato da analisti economici e dallo stesso ministro dell’economia Tria. I dati esposti nelle ultime settimane dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), infatti, mostrano come la crescita italiana stia subendo un rallentamento e che nel secondo trimestre ci sia stata una crescita di solo 0,2 punti percentuali.

In base ai nuovi dati, le stime di crescita del PIL del 2018 si dovrebbero aggirare intorno al punto percentuale, contro una stima contenuta, nel Documento di Economia e Finanza (DEF) stilato dal governo precedente, che si aggirava intorno al punto e mezzo percentuale. Questa flessione, purtroppo, avrà un impatto anche sui conti pubblici, peggiorando sia il deficit pubblico, sia il debito.

Scomponendo il dato aggregato, è interessante notare come, secondo la nota mensile sull’andamento dell’economia italiana dell’Istat di Luglio 2018, la domanda interna abbia contribuito positivamente alla crescita, mentre la componente estera netta ha fornito un apporto negativo.

Accanto ai dati che provengono dal fronte della crescita economica, notizie parzialmente rassicuranti giungono dal settore dell’occupazione. Nel mese di giugno, infatti, secondo i dati ISTAT, dopo diversi mesi di crescita flebile, vi è stata una battuta d’arresto nei dati sull’occupazione, con un calo di 49000 occupati. L’analisi approfondita di tale risultato, a ben vedere, nasconde una dinamica preoccupante: il calo riguarda principalmente i contratti stabili (-56000) e in misura marginale gli autonomi (-9000); al contrario, i contratti a termine continuano a crescere (+16000).

CatturaBisogna precisare però che, nonostante la flessione registrata a giugno, nel secondo trimestre del 2018, si conferma, complessivamente, il trend positivo del tasso di occupazione pari a 58,7%, 0,4 punti percentuali in più rispetto al trimestre precedente. Nel periodo aprile – giugno 2018, infatti, si è verificato un generale aumento degli occupati pari a 196 mila occupati in più, cioè +0,8% rispetto al trimestre precedente. Tale aumento riguarda le persone over 25 e tra queste principalmente gli ultracinquantenni (+140 mila). Sempre nel medesimo periodo a conferma di quanto detto sopra, sono notevolmente aumentati i lavoratori con contratti a termine (+123 mila), i lavoratori autonomi (+75 mila), mentre restano sostanzialmente stabili i dipendenti a tempo determinato.

A completare questo quadro poco esaltante, vi sono i dati sul Mezzogiorno forniti dall’ultimo Rapporto SVIMEZ del 2018. Questi dati evidenziano che l’emorragia di giovani scolarizzati verso il Nord Italia o verso l’estero ha, ormai, raggiunto livelli di “guardia”. Negli ultimi sedici anni, secondo il rapporto, circa 1.883.000 persone hanno lasciato il Sud e la metà sono giovani compresi tra i 15 e i 34 anni, con dati di maggiore criticità che riguardano la Sicilia. Nonostante gli ultimi due anni in cui il PIL del Sud è cresciuto, non vi è un traino occupazionale stabile per via di una continua crescita dei soli contratti a termine che, nel 2017, sono stati 61000 circa (+7,5%).

L’area si caratterizza per il fenomeno dei working poors, cioè di quelle persone il cui salario non è sufficiente ad evitare situazioni di povertà. La principale mancanza nel Sud del Paese è legata all’aspetto degli investimenti pubblici che si evidenzia anche nei servizi offerti dallo Stato e fra cui ricordiamo, ad esempio, i sistemi sanitari regionali che necessitano di maggiore efficienza.

Come agire per contrastare e invertire il rallentamento? Le soluzioni sono influenzate dalla scarsità delle risorse disponibili. Indubbiamente, uno dei settori sui quali puntare in modo deciso è lo stimolo dei consumi interni, considerando le tensioni internazionali e le tendenze protezioniste. Non è un caso, infatti, che il maggiore calo sul PIL derivi proprio dalla componente estera. Sarebbe auspicabile recuperare tutte le risorse disponibili per un unico massiccio stimolo della domanda, agendo su una forte diminuzione della tassazione, sia sulla componente salariale, sia su quella delle imprese, ed infine su i contratti a tempo indeterminato. In questo modo, si stimolerebbero maggiormente le imprese a creare occupazione stabile, che di solito è più propensa a consumare.

Di una politica fondata su una fortissima infrastrutturazione, invece, necessiterebbe il Mezzogiorno. Destinare una buona parte del bilancio pubblico verso le aree meridionali, creando strade, porti, aeroporti (o ristrutturando quelli già presenti), migliorando le condizioni di competitività del Mezzogiorno, avrebbe effetti positivi per l’intero Paese. Un miglioramento delle infrastrutture, infatti, dovrebbe portare, “a cascata”, un aumento degli investimenti privati, maggiore crescita e nuova occupazione.

Le maggiori difficoltà alla realizzazione di queste politiche sono, però, le risorse limitate e la volontà governativa interessata al mantenimento di promesse elettorali a volte nocive. Non bisogna dimenticare che i mercati ci osservano: crescita, occupazione e Mezzogiorno potrebbero passare rapidamente in secondo piano di fronte ad un attacco speculativo.