Marchionne, meriti e demeriti di una parabola durata 14 anni

Si sapeva non sarebbe tornato più. Anche nel comunicato di John Elkann si leggeva che Sergio Marchionne «non tornerà più». Ieri mattina un male «irreversibile» che affliggeva l’artefice di Fca, se l’è portato via. Si sa di un’operazione alla spalla andata male, mentre il tumore che alcuni giornali avevano riportato è stato smentito dalla famiglia stessa. Certo è che, oltre le analisi trionfali e quelle invece più odiose e meschine, siamo davanti alla scomparsa di un protagonista che ha salvato in extremis due “mostri”, Fiat e Chrysler, mettendo insieme un gruppo capace di rivaleggiare senza timore con gli altri colossi internazionali. Come ogni grande operazione, anche quella di Marchionne è stata origine di meriti e demeriti. Ed è importante non cadere in sciacallaggi – quelli troppo facili, quelli giornalistici.

I nuovi reggenti. Marchionne lascia il testimone a Manley, Camilleri e Heywood. Il Cda di Fca ha accelerato la transizione per la carica di amministratore delegato, quella che era di Sergio Marchionne, e pochi giorni fa aveva nominato Mike Manley. Quanto alla Ferrari, il cda riunitosi d’urgenza ha nominato John Elkann presidente e Louis Carey Camilleri nuovo ad. In CNH Industrial infine, Marchionne lascia il testimone a Suzanne Heywood, nuovo presidente. Dopo 14 anni l’era di Marchionne finisce dividendosi in tre importanti nomine.

downloadDa alcuni l’operato di Marchionne è stato definito infelicemente come la causa di decrescita di Torino e del Piemonte, o ancora la dipartita dell’fattore Tricolore da Fca; da altri, invece, il manager nato a Chieti è stato dipinto come un protagonista che negli ultimi 14 anni ha aiutato a riportare su due produttori di auto all’orlo del fallimento. Fu inoltre indicato come «il suo preferito» in un recente incontro con il presidente americano Donald Trump.

L’amministrazione Marchionne. Certamente abbiamo assistito in questi anni a una “ritirata” organizzata dall’Italia, per quanto riguarda il settore automobilistico: per numero di lavoratori occupati siamo a un quinto di quelli tedeschi e circa due terzi di quelli francesi. La manovra di investimento nel progetto FCA, un colosso nato da una scommessa riuscita, si è però contraddistinta per la mancanza di volontà di investire sugli stabilimenti nel Paese; Marchionne ha infatti provato a tenere in piedi la baracca, ha fatto del suo meglio – imprenditorialmente parlando.

marchionne-accusa-indirettamente-l-amministrazione-obama-per-l-inchiesta-su-fca_1083391Il progetto per la formazione del maxi-gruppo, l’avvicinamento graduale a Chrysler, arrivò – non a caso – in occasione dell’amministrazione Obama, nel 2009: prevedeva un prestito dal governo americano per Fiat che dopo la restituzione poteva acquisire sino al 51% delle azioni Chrysler. Un passaggio importante, per comprendere la fattibilità dell’operazione, è la campagna elettorale per la prima elezione di Barack Obama che presentava tra i suoi temi principali quello ambientale: auto a basso impatto ambientale e motori di piccola cilindrata, sull’esempio automobilistico europeo. Una congiunzione astrale tutt’altro che sfavorevole. Nel gennaio del 2014 si arrivò in breve tempo all’inizio e al completamento delle operazioni di acquisizione della totalità delle azioni di Chrysler Group da parte del gruppo italiano.

Fiat Chrysler Automobiles (FCA) divenne così l’ottavo gruppo automobilistico mondiale, con utili netti nel 2017 arrivati a 3,5 miliardi. Dentro si trovano i marchi FIAT, Alfa Romeo, Lancia, Maserati, Fiat Professional, Abarth, Jeep, Chrysler, Dodge, Ram Trucks, Mopar, SRT. Inoltre non bisogna dimenticare che è a sua volta dentro il gruppo Exor, finanziaria industriale controllata dalla famiglia Agnelli. Un colosso da 143 miliardi di euro di fatturato e 4,6 miliardi di utile netto dove stanno anche la Ferrari, CNH Industrial, il The Economist e la Juventus. Un’operazione che complessivamente ha consentito a Fiat (e dunque a Fca) una sopravvivenza più che assicurata.

Fiat_Sergio_Marchionne-685x1024Sul fronte nazionale. Nel 2010 l’ambizioso piano di investimenti della Fiat: Fabbrica ItaliaTrenta miliardi – che tutti abbiamo sentito nominare! – di investimenti industriali, di cui venti in Italia. Il piano doveva servire a un aumento considerevole della produzione in una previsione quadriennale di un raddoppio dei veicoli costruiti in Italia. Solo due anni dopo, però, la ritirata: una direzione globalizzata del progetto stava prendendo forma, nonostante grandi utili ottenuti (59 miliardi nel 2011) e una disponibilità liquida considerevole (circa 20 miliardi, sempre nello stesso anno). Insomma, a conti fatti pare che i rubinetti non siano stati aperti per l’investimento italiano. Resta quindi il calo delle auto prodotte in Italia, che si abbassa fino a un numero di 6 esemplari su 100 prodotti in Italia (anche se ricchi di componenti totalmente italiane).

La vera storia di Sergio Marchionne? Il teatino del 1952 è venuto su con una bella gavetta e un’operazione fortunata che gli ha dato un nome nel mondo. Tre lauree – Filosofia, Giurisprudenza ed Economia – in Canada, dove era emigrato con la famiglia all’età di 14 anni. Commercialista e avvocato alla Deloitte Touche; poi Ceo della Sgs di Ginevra dove risana il gruppo in due anni e conquista fiducia internazionale e successo nell’ambiente manageriale. Così tanto da essere scelto per prendere il comando della Fiat, nel 2004. Tutto il resto, adesso, è “solo” storia.


Originariamente pubblicato su Wmag