L’invasione che non c’è

Di Sara Sucato – Disponiamo di ben poche armi per contrastare la speculazione su un problema sociale che si trasforma in discorso politico, il cui fine ultimo diventa la vittoria delle elezioni piuttosto che la pacificazione degli animi e l’offerta di una reale soluzione. Eppure, di mezzi ne abbiamo.

Godiamo della possibilità di consultare dati fruibili in tempo reale, statistiche, indagini e ci lasciamo abbindolare dall’informazione preconfezionata, che – in un numero di casi sempre maggiore – sfocia nel sensazionalismo. Ecco dunque perché vale la pena dedicare una manciata di minuti per districarsi nella giungla delle notizie sommarie e dei media massificati.

Per far crollare l’impalcatura della narrativa che ci racconta una tragica e incontrastabile invasione, bisogna ricorrere alla distinzione fondamentale tra i seguenti termini: rifugiato e migrante. Oramai usati come sinonimi, dipingono realtà ben diverse e spesso lontane tra loro. Il migrante è colui che decide di spostarsi liberamente per ragioni di convenienza personale e senza l’intervento di un fattore esterno, secondo una definizione fornita dall’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. La condizione di rifugiato, invece, è stabilita dalla Convenzione di Ginevra del 1951 ed è uno status giuridicamente riconosciuto per soggetti che, trovandosi al di fuori del proprio Paese, non posso richiederne la protezione per timore di essere perseguitati a motivo della propria razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un gruppo sociale o per le opinioni politiche.

Il Global Report redatto a dicembre di ogni anno dall’UNHCR, e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, per il 2017 stima che il numero dei soggetti rifugiati nel mondo sia salito, rispetto all’anno 2016, a 19.9 milioni. Di questi, circa il 31% trova risposta alla propria domanda d’asilo e accoglienza principalmente in Turchia, Pakistan e Uganda. Una buona percentuale si ripartisce tra Libano, Iran, Bangladesh, Sudan, Etiopia e Giordania.

Nello stesso anno, di quei 19.9 milioni, meno dell’1% è giunto in Italia (172.301 i rifugiati accolti, meno del 50% quelli a cui è stato concesso asilo). Bisogna inoltre ricordare che l’Italia è considerata da molti un punto di passaggio verso mete più ambite, anche se la chiusura della rotta balcanica, l’insofferenza maltese e l’inasprimento da parte di molti governi delle politiche d’accoglienza hanno reso la migrazione verso altri Paesi europei più complicata. A buon diritto, su una popolazione italiana di 60.6 milioni, in costante crescita, si può davvero parlare di invasione?

Capture3Una delle ondate numericamente più consistenti, in Europa, è stata registrata nel 2015 con poco più di un milione di rifugiati ripartiti tra Grecia, Spagna e Italia. Negli anni successivi i numeri sono progressivamente diminuiti, arrivando all’anno corrente in cui, secondo i dati raccolti dall’UNHCR, i soggetti sbarcati sulle coste dell’intero continente sono 39.125 (giugno 2018). Un interessante termine di paragone lo possiamo trovare nella città di Mosul, in Iraq, la quale su una popolazione di 665 mila abitanti, conta 246 mila rifugiati principalmente siriani.

Questi numeri portano alla luce un trend di lunga data, destinato a crescere con l’inasprirsi dei conflitti in Africa e Medio Oriente: le migrazioni Sud-Sud, le quali non si limitano alle rotte dei rifugiati né alle zone sopra citate. Nuovi percorsi migratori che offrono una speranza non solo a chi scappa dai conflitti ma anche a chi desidera cercare fortuna al di fuori del proprio Stato. Per molti, queste nuove rotte offrono dei vantaggi non indifferenti: spesso, permettono di rimanere nello stesso continente escludendo la necessità di imparare una nuova lingua e adattarsi ad una cultura lontana dalla propria, favorendo aspettative di vita migliori; sono indubbiamente meno costose per chi le percorre in situazioni di povertà estrema e, soprattutto, vengono ritenute meno pericolose poiché, nella maggior parte dei casi, non prevedono spostamenti via mare se non per brevi tratti. In netta crescita è anche il trend delle migrazioni da Nord a Sud del mondo, ispirate principalmente da motivazioni economiche, poiché permettono investimenti e trasferimenti di capitali a basso costo, e occupazionali.

Secondo le stime dell’OIM, durante il 2017, su un totale di 191 milioni di migranti nel mondo solo 17 milioni provenivano dall’Africa. Di questi, appena il 12% (2 milioni circa) è partito alla volta dell’Europa, mentre un buon 70% è rimasto nel continente natio. I flussi migratori Sud-Nord rappresentano una percentuale limitata degli spostamenti della popolazione mondiale, tuttavia le migrazioni Sud-Sud, in particolare le rotte intra-africane, sulle quali si muovono anche i richiedenti asilo, non vengono adeguatamente documentate pur essendo tre volte superiori rispetto alle prime.


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