Da populismo ad autoritarismo la strada è breve

Di Giuseppe Sollami – Le recenti dichiarazioni di Matteo Salvini, leader della Lega e ministro degli Interni del neo governo “gialloverde” (termine coniato per evidenziare l’alleanza tra Lega e Movimento 5 stelle) sembrano farci rivivere periodi ormai dimenticati nel nostro paese, quelli precedenti alla Seconda guerra mondiale quando, il 10 novembre del 1938, il consiglio dei ministri del governo del Duce emanò le “leggi per la difesa della razza”, in cui si emarginavano da ogni attività pubblica i nemici dei regimi nazifascisti: gli ebrei. Sappiamo tutti com’è andata a finire.

La decisione di creare un’anagrafe dei rom presenti in Italia è un fatto che violerebbe la Costituzione.

Secondo la carta costituzionale, all’art.2 si afferma: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.»

Mentre, l’art. 10 della Costituzione afferma: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.»

Cercare di “schedare” per poi espellere i rom presenti in Italia è costituzionalmente illegale, oltreché suddetta proposta risulta essere di estrema bassezza politica.

Sono questi i veri problemi per i quali il Paese deve prendere provvedimenti urgenti? Sono forse loro il vero problema della crisi perdurante nel nostro paese? L’anno scorso, l’ISTAT, insieme all’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali e all’A.n.c.i., ha pubblicato un rapporto sui rom presenti in Italia. Queste ricerche ci dicono che in Italia ci sono tra le 110 mila e le 170 mila persone che si identificano come rom, sinti o caminanti, tre sottogruppi uniti dal fatto di parlare una delle versioni della lingua romaní. Circa 70 mila tra loro sono di nazionalità italiana, in maggioranza discendenti di famiglie rom arrivate in Italia nel Medioevo. Gli altri provengono quasi tutti dall’Europa dell’est, soprattutto dalla Romania, quindi in quanto comunitari sono regolari e impossibili da espellere, specialmente se per ragioni etniche.

La maggioranza dei rom è stanziale come tutte le altre persone, cioè non si sposta e vive per lungo tempo nello stesso posto. Inoltre, l’Italia è considerato un paese con una presenza di rom relativamente bassa rispetto agli altri grandi paesi europei. In Francia e Spagna, per esempio, le stime più ampie parlano di più di un milione di rom.

Cercare di deviare il dibattito dell’opinione pubblica su temi cosi delicati può provocare un inasprimento della concezione di straniero in Italia, già pesantemente provato: è ormai all’ordine del giorno sentire parlare di odio verso lo straniero e di nutrita voglia di cacciare via gli irregolari.

Tutto questo ha una radice insita nei dibattiti politici, che hanno sempre evidenziato questo problema, più o meno grave, solo per una scellerata lotta alla ricerca di voti e del consenso popolare.

Non si può tollerare, nel 2018, di avviare discussioni simili in un paese che meno di ottanta anni fa ha conosciuto la dittatura, le discriminazioni razziali e ha avallato il progetto folle di Hitler di spedire i cittadini ebrei nei campi di concentramento. L’attenzione deve essere rivolta, invece, su come accogliere gli immigrati e come valorizzare le etnie presenti nel nostro paese, cercando di non ghettizzare queste ultime, cosi come avviene oggi nei villaggi rom alla periferia di Roma. Un paese civilizzato non espone nemmeno queste idee, anzi, si fa promotore di politiche per l’accoglienza e l’integrazione e promuove queste ai tavoli dell’Unione Europea.

È opportuno concludere con un tratto del Vangelo di Matteo (guarda caso, lo stesso nome del ministro degli interni), che è sicuramente valido rispetto a mille articoli sul tema. Spero che il ministro lo abbia letto quando in campagna elettorale, sventolava fiero il Rosario e il Vangelo, giurando fedeltà a questi simboli:

(Mt 25, 37-45) «Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me».


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