Mattarella mette alla prova la (ir)responsabilità dei partiti

Di Mario Montalbano – Altro giro, altra corsa. A vuoto. Potrebbe sintetizzarsi così l’ennesima, anche se questa volta brevissima, tornata di consultazioni di ieri voluta dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nessun passo in avanti nelle trattative dei partiti, rimasti fossilizzati nelle loro posizioni.

Chiuso prima ancora di potersi ritenere aperto il forno Pd-M5s, le uniche vane speranze erano ancora legate al dialogo, mai del tutto conclusosi tra Salvini e Di Maio. Nelle ultime ore, d’altronde, da parte del leader del M5s era giunta l’ultima proposta di un governo, sempre solo con la Lega, con un premier terzo. Ma, contrariamente alle solite indiscrezioni di rottura della vigilia, Matteo Salvini non ha battuto ciglio di fronte all’idea di rompere l’asse con Meloni e Berlusconi.

E allora che fare? Da settimane, ormai, paventata l’impossibilità di formare una maggioranza, sia la Lega sia il M5s, rifiutando qualsiasi possibilità di un governo tecnico, non hanno fatto mistero di esser disponibili a tornare alle urne, al punto che ieri erano riusciti a trovare una linea comune nell’indicazione di una data, l’8 luglio.

La pensa diversamente il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il quale, infatti, a fronte della situazione di stallo ha deciso di tirar fuori dal cilindro l’idea di un governo «neutrale, di servizio», come l’ha definito nelle sue dichiarazioni post consultazioni, pronto a mettersi da parte nel momento in cui tra i partiti emergesse un accordo per una maggioranza parlamentare.

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Sergio Mattarella, consultazioni del 7 maggio

Dopo tre giri di consultazioni e due mandati esplorativi senza risultati, il presidente della Repubblica, in sostanza, ha deciso di tirare una riga, mettendo i partiti davanti alle loro responsabilità. Presenti e future. A partire da quella di voler concludere anticipatamente la legislatura, per la prima volta nella storia repubblicana, senza che sia stato formato un governo, rendendo vano il voto popolare di appena due mesi fa. Passando per quelle di natura politica, tra cui lasciare il paese senza una guida davanti agli impellenti impegni internazionali, europei soprattutto, dove verranno trattati argomenti nevralgici e di particolare interesse per il nostro paese come l’immigrazione e il futuro della moneta unica. E, infine, la responsabilità di far cadere da subito un governo posto dal capo dello Stato per sgravare i partiti da compiti scomodi, come l’approvazione di una finanziaria con l’aumento dell’Iva, e soprattutto per facilitare il dialogo tra loro senza la pressione di scadenze imminenti. Dialogo che sarebbe opportuno in particolare per discutere anche in modo esaustivo delle modifiche alla legge elettorale, senza la quale, come ha ricordato lo stesso presidente della Repubblica, le prossime elezioni rischiano di determinare il medesimo risultato d’ingovernabilità. E che vorrebbe dire gettare il paese ancora di più allo sbaraglio. Irresponsabilmente.


 

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