La «principessa rossa» Maryam Firouz: una vita travagliata per la difesa delle donne iraniane

La principessa Maryam Firouz Farman Farmaian, morta a Teheran all’età di 94 anni, nel marzo del 2008, fu uno degli ultimi membri sopravvissuti del movimento femminista politico di inizio del XX secolo in Iran. Figlia del principe Abdol Hossein Mirza Farman Farmaian e Batoul Khanoum, Maryam è nata nella città di provincia di Kermanshah ed è stata educata a Teheran presso la scuola francese, l’école Jean d’Arc.

Quando aveva 16 anni suo padre organizzò il suo matrimonio con il colonnello Abasali Esfandiary, un aristocratico, un laureato di Saint-Cyr, l’accademia militare francese, e figlio del presidente del parlamento iraniano. Dal matrimonio, durato 10 anni, sono nate due figlie. Per rispetto verso il padre, la coppia ha aspettato fino alla sua morte prima del loro amichevole divorzio.

Maryam_Farman_Farmaian

All’inizio degli anni ’40 Maryam si unì al partito comunista Tudeh, fondato nel 1941, motivo per cui venne soprannominata “principessa rossa”. In seguito si sposò con l’architetto Noureddin Kianouri, dirigente dello stesso partito. Alla luce di ciò Maryam ebbe l’opportunità di organizzare il movimento per la parità nell’Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (ODMI, 1943), ovvero il movimento femminista più potente del Vicino Oriente. Inoltre, aprì il suo salotto letterario dove intrattenne artisti e intellettuali. Tra coloro che ne fecero parte troviamo autori come Sadeq Hedayat, Bozorgheh Alavi e il poeta Fereydoun Tavalloli.

Nel 1950, il governo fu sotto attacco per la gestione dei negoziati con la compagnia petrolifera anglo-iraniana – in seguito British Petroleum. Nell’aprile di quell’anno il nazionalista laico, Mohammad Mossadegh, cugino di Maryam, divenne primo ministro. Mossadegh era impegnato nella nazionalizzazione del petrolio, che provocò una crisi con gli inglesi. Si diceva che Maryam, all’epoca prese parte nella politica al più alto livello, e che fosse stata coinvolta nella rivoluzione del 1953 che portò alla breve partenza dello Scià.

Un colpo di stato anglo-americano, l’Operazione Ajax, rovesciò Mossadegh nell’agosto del 1953, lo Scià tornò, il partito di Tudeh fu bandito, Mossadegh fu arrestato e Maryam e suo marito si nascosero. Fu la fine di un’era di ottimismo che avrebbe avuto gravi implicazioni a lungo termine per l’Iran e di conseguenza anche per Maryam e suo marito.

Dopo tre anni la coppia andò in esilio nell’Europa orientale. Nonostante la condizione di esiliata, Maryam proseguì con le sue attività, lavorando con donne iraniane all’estero e conseguì un dottorato in lingua e letteratura francese. La Firouz fu una docente universitaria, insegnando francese a Berlino est e Lipsia. Alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60, vennero avviati due processi in sua assenza in Iran. Il primo l’ha condannata a cinque anni di lavori forzati e il secondo alla vita con lavori forzati.

Dopo la rivoluzione islamica del 1979, che portò al potere l’ayatollah Khomeini, Maryam e suo marito fecero ritorno in Iran. Durante questo breve periodo, il partito Tudeh ebbe il permesso di operare e diresse l’Organizzazione democratica delle donne in Iran.

Nel febbraio 1983 Maryam e il suo consorte furono imprigionati, e Kianouri fu accusato di spionaggio per l’Unione Sovietica. Quel mese di aprile il partito fu bandito e molti dei suoi membri furono giustiziati. Maryam fu tenuta in isolamento e si ammalò. La gravità della sua malattia alla fine ha portato alla sua liberazione e agli arresti domiciliari. In questo periodo ha affittato una casa con sua figlia Afsaneh e ha vissuto con la sua pensione tedesca. Un anno dopo, a suo marito fu permesso di unirsi a loro, capendo che non avrebbe mai parlato con i media. In una lettera aperta a Khomeini, Kianouri ha registrato un raccapricciante “catalogo” di maltrattamenti e torture che è stato assegnato a lui e alla moglie durante la detenzione. La sua morte nel 1990 fu un triste colpo per Maryam, la cui salute peggiorò.

Ma Maryam non ha mai perso il suo interesse per la politica e le questioni femminili. Infatti lesse instancabilmente giornali, e i pochi visitatori a cui è stato permesso di vederla condividevano con lei pettegolezzi e informazioni che la stampa iraniana non ha potuto pubblicare. Poiché la censura impedisce che milioni di giovani iraniane conoscano questa indispensabile combattente non è presente nessuna biblioteca, strada o monumento che porti il suo nome, ma la sua memoria continua a vivere nel “Movimento di ognuna delle ragazze della via della Rivoluzione”.