La Manada, una “tipica” serata senza giustizia

Di Gaia Garofalo – Musica dal vivo in compagnia di amici e un paio di birre. Di questa tipica serata ti rimane solo un po’ di monotonia mista a divertimento, qualche moneta in meno, un leggero mal di testa e mal d’orecchie, le risate, gli abbracci, le parole nella notte della città. Ma non a Pamplona, la notte del 6 luglio 2016 alla festa di Sanfermines, quando la tipica serata di una ragazza di 18 anni si è trasformata nella tipica preoccupazione, nelle solite raccomandazioni, nell’incubo reale.

La ragazza, la vittima, è stata stuprata da cinque uomini dell’età compresa tra i 25 e i 28 anni, nell’androne di un palazzo nella capitale della Navarra. Penetrata più volte vaginalmente e analmente. Uno di loro documentava orgogliosamente lo scenario con video e foto da inviare nel gruppo chat di WhatsApp La Manada (“Il branco”) con 21 partecipanti in cui ci si consigliava su “come violentare” anche con l’utilizzo di corde, farmaci e droghe. Dopo aver schiavizzato l’anima, lo spirito e il corpo della ragazza , le hanno rubato il cellulare compreso di scheda SD e sim telefonica; probabilmente per non farle chiamare soccorsi, amici, parenti. Lasciata nell’androne di un palazzo mezza nuda, la mattina seguente corre piangendo verso la prima panchina in cui potersi sedere, luogo in cui incontra un paio di persone che le consigliano di denunciare e chiamare il 112 con il loro telefono personale.

Antonio Manuel Guerrero Escudero, Jesus Escudero Dominguez, Jose Angel Prenda Martìnez, Alfonso Jesus Cabezuelo Entrena, Angel Boza Florido.

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Questi i nomi dei colpevoli, condannati a 9 anni (in più il risarcimento di una multa e il divieto di avvicinarsi a meno di 500 metri dalla vittima e contattarla, per 15 anni) e non 24. Condannati di abuso sessuale e non stupro;  per abuso sessuale si intende ogni tipo di contatto sessuale non consensuale, che sia verbale o anche il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi. Lo stupro invece si riferisce a un atto sessuale non consensuale completo in cui l’aggressore penetra la vagina, l’ano o la bocca della vittima con il pene, la mano, le dita o altri oggetti. Manca il consenso di una delle persone che partecipa all’atto sessuale oppure ancora il consenso viene ottenuto con l’utilizzo della forza fisica, della coercizione, di inganni o minacce. Quest’ultima definizione descrive tristemente l’atto consumato sulla pelle della vittima. Ma ciò non è stato riconosciuto.

Nel gruppo degli stupratori troviamo anche un agente della Guardia Civile e un militare; ai due uomini non è ancora stato revocato definitivamente il loro incarico, e continuano a percepire il 75% dello stipendio. Quattro dei cinque hanno già precedenti per un’altra violenza sessuale nei confronti di una ragazza a Pozoblanco, presa e fatta salire su di un’auto, legata ai polsi e violentata.

Secondo il verbale, durante il video, i cinque ridono, si vantano, scherzano, godono.
Lei è immobile, passiva, grida di dolore in qualche minuto registrato, poi torna assente: la sottomissione è spesso il risultato della paralisi causata dalla paura, dal terrore o dalla credenza che tali reazioni servano a salvare la vita alla vittima. Serve soltanto come ultima risorsa quando ogni tentativo di far cessare l’aggressione è fallito.

Le fantomatiche prove che rilevano solo un lieve trauma nella vittima, sono le foto in cui sorride con gli amici nei giorni successivi allo stupro. Nonché, ovviamente, l’unica e sola componente colpevole della tragedia: il tasso alcolemico corrispondente ad un grammo di alcol per litro nel sangue. Come non poter fare menzione del tipico sbaglio della tipica tragedia. E ancora, uno dei tre magistrati occupati nel processo del caso La Manada, Ricardo González, ha espresso un voto particolare chiedendo la libera assoluzione di tutti e tre gli accusati.

Le associazioni femministe hanno denunciato la sentenza e hanno sottolineato che ancora una volta le donne sono ritenute responsabili delle aggressioni che subiscono: «La giustizia patriarcale ha agito contro la vittima, gli stupratori hanno visto ridotto il crimine di stupro agli abusi sessuali». Anche l’Onu prende posizione: «quella sentenza sottostima la gravità delle violenze, non si possono colpevolizzare le vittime» dice la portavoce delle Nazioni Unite.

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Manifestazione di solidarietà per la vittima

Da questa sentenza è nato anche del clamore mediatico da parte di chi decide di protestare per la giustizia. “Hermana yo te creo” è un movimento che decide di urlare a gran voce il dissenso e così protestare anche dai social con l’hashtag “#yotecreo”. 

La verità è nel popolo e chi non riconosce la violenza in questi casi così efferati, da’ un altro pugno allo stomaco non solo alla vittima in questione, ma ad un’intera società.


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