Aiuto umanitario? Non più nell’Ungheria di Orban

Di Daniele Monteleone – In Ungheria si respira uno spregiudicato nazionalismo, da tempo osservato e tollerato dall’Unione europea, stabile finanziatrice dei progetti ungheresi, così come di tutti i paesi membri. E come potrebbe essere altrimenti? Principi e intese continentali, sociali oltre che economici, non sono il denominatore comune dell’Unione. Questa settimana però si continuerà a parlare di una questione in particolare: la gestione dei migranti da parte dell’amministrazione di Viktor Orban.

Il presidente ungherese, confermato per la quarta volta alle ultime elezioni politiche dell’8 aprile scorso, sta continuando la linea dura e intransigente che aveva già dimostrato ai suoi suoi ripetuti “fermate gli arrivi” quando chiese all’Italia e all’Unione di creare centri d’accoglienza «fuori dall’Europa» per creare «condizioni di sicurezza nel continente». Una nuova legge a riguardo, infatti, è stata votata ieri dal parlamento ungherese, e così aiutare i migranti irregolari diventerà un reato.

Ci sono 175 chilometri di filo spinato che testimoniano la politica di Orban – un punto di riferimento da noi in Italia, per esempio, per Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia – dichiaratamente di destra conservatrice e fortemente tradizionalista, ma comunque all’interno del Partito Popolare Europeo. E basta ascoltare alcuni abitanti sul confine e dell’entroterra per capire la fetta di elettorato più fedele su cui Viktor Orban ha fatto affidamento in tutti questi anni. «In Ungheria non deve starci neanche un musulmano», «se potessi sparerei ai piedi di quelli che provano a scavalcare il muro» e altre considerazioni marcate da paura e da un “protezionismo umano” che affianca il terrorista all’arabo e il migrante al ladro. Budapest, invece, è rimasta la roccaforte dell’opposizione al governo. Ma è “solo” una metropoli.

La proposta di legge in fase di approvazione rende illegale aiutare i migranti irregolari che cercano di ottenere asilo nel paese. Un aiuto, quello punito, anche a un livello generalizzato: non si tratta esclusivamente di un aiuto fisico per l’immigrato; il provvedimento risulta minaccioso anche per le organizzazioni che con l’operato umanitario e l’informazione si schierano dalla parte dei migranti, soprattutto nell’assistenza legale o perfino alimentare.

L’appellativo giornalistico – ma non solo – di questa politica parla chiaro: “Stop Soros”. Il riferimento va a George Soros, accusato di incoraggiare l’immigrazione in Europa, in particolare di permettere l’afflusso e la permanenza dei migranti nel continente con il finanziamento di organizzazioni non governative impegnate per l’accoglienza e l’assistenza dei profughi. Proprio il magnate ungherese ha recentemente deciso di chiudere la sede di Budapest della sua Open Society Foundations – la fondazione direttamente finanziatrice della quale è a capo – in favore di Berlino, una location migliore e meno «repressiva», come ha detto lo stesso Soros nei confronti dell’amministrazione Orban.

Non sono altro che nuovi passi di “orgoglio nazionale” in diretto contrasto con l’Ue, la stessa di cui fa parte l’Ungheria, usufruendo di milioni di euro di fondi. L’ampia maggioranza ottenuta nelle recenti elezioni promette un percorso pirotecnico per Viktor Orban e il suo progetto di riforma costituzionale. Si discuterà nei prossimi mesi e nei prossimi anni della possibilità di evitare che qualunque paese e organizzazione internazionale vincolino l’Ungheria ad accogliere una quota dei richiedenti asilo. Più precisamente «una popolazione straniera», come precisato dallo stesso Orban, non può stabilirsi in Ungheria. Una scelta fortemente ideologica che punta alla cultura nazionale a discapito dell’accoglienza di stranieri, ma che fa gli interessi del solo paese ungherese – ricordiamolo – membro di un gruppo di cooperazione e collaborazione quale è l’Unione europea. 

L’Ungheria è un paese apertamente schierato contro le famose “quote” di migranti e, più in generale, contro lo spostamento di persone – per lo più disperate economicamente e impaurite dalla guerra del proprio paese di origine – che attraversano il Mediterraneo. Mai come oggi sono lontani i tempi in cui chi scappava dall’Ungheria gioiva alla sola vista di una bandiera austriaca e di una casa illuminata nell’oscurità dei boschi dell’Alpokalja.


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