I prigionieri non più dimenticati

 
 

Era il 28 maggio 1961. «Aprite il vostro giornale ogni giorno della settimana e troverete la notizia che da qualche parte nel mondo qualcuno viene imprigionato, torturato o ucciso perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili al suo governo […]. Il lettore del giornale sente un nauseante senso di impotenza. Ma se questi sentimenti di disgusto ovunque nel mondo potessero essere uniti in un’azione comune qualcosa di efficace potrebbe essere fatto».

Queste le parole che hanno dato vita, 57 anni fa, ad un ideale, prima che si trasformasse in un’organizzazione stabile: Amnesty International. L’autore è un avvocato inglese, Peter Benenson, il quale apprendendo da un giornale la notizia dell’arresto di due studenti portoghesi, colpevoli soltanto di aver espresso la propria opinione, lancia un appello per l’amnistia (Appeal for Amnesty) ed esorta i lettori a esercitare pressione sui governi, scrivendo lettere e richiedendo il rilascio dei prigionieri politici.

Poco dopo la pubblicazione, l’articolo fa il giro del mondo. Viene ripreso e pubblicato da innumerevoli testate giornalistiche, facendo emergere un sentimento comune, oltre ogni distanza geografica: l’indignazione accompagnata dal desiderio di agire per poter cambiare una situazione di ingiustizia. Ecco che l’effetto miracoloso della mobilitazione internazionale è arrivato fino a noi, attraverso uno strumento di pressione non violenta, le lettere, che oggi costituiscono il principale mezzo tramite il quale Amnesty persegue i propri obiettivi.

L’organizzazione è cresciuta esponenzialmente, conta sedi in oltre 150 Paesi e, nel corso degli anni, ha esteso il suo mandato alla protezione dei rifugiati politici, dei prigionieri di coscienza a causa dell’orientamento sessuale, alla promozione dei diritti umani, attivandosi ogni qualvolta venga messo in pericolo o negato il godimento della libertà personale senza giusta causa.

Oggi Amnesty International, oltre a combattere contro le ingiustizie in prima persona, educa ai diritti umani, forma nuovi soggetti che possano diffondere la sua mission, sensibilizza alla protezione della libertà attraverso incontri, eventi, campagne e mobilitazioni per non perdere mai il contatto con la realtà all’interno della quale e per cui opera.

Dal 1961 ad oggi molte cose sono cambiate all’interno dell’organizzazione, ma non è mai stato dimenticato quel primo strumento che ha permesso la nascita di un movimento su vasta scala: la lettera. Lo sanno bene Mahadine, Farah, Astrid e Arturo, Idil Eser: una parte davvero esigua di chi ha vissuto sulla propria pelle le ingiustizie dei regimi e ha trovato nelle parole, nelle firme di migliaia di persone in tutto il mondo, un trampolino di lancio per il proprio riscatto.

«Le persone comuni possono fare qualcosa di straordinario»: era questa la convinzione di quell’avvocato inglese che riuscì a trovare una via fruttuosa per esprimere il sentimento di indignazione che tanto lo opprimeva.

Oggi non possiamo che condividere questo messaggio: nell’era digitale, basta davvero poco per fare qualcosa di concreto, che produce un effetto reale, anche se stentiamo a credere che una firma, una mobilitazione, possano fare la differenza. Chi sposa ogni giorno nel mondo gli ideali di Amnesty sa bene che è meglio accendere una candela piuttosto che maledire l’oscurità, una candela che testimonia che non esiste distanza insormontabile per difendere la vita e la libertà di chi ha la sola colpa di agire seguendo i propri ideali e le proprie inclinazioni.