L’indistruttibile falange dei “barbari” macedoni

Di Daniele Monteleone – L’impero di Alessandro Magno è opera di uno dei più grandi condottieri della storia, ma certamente è anche il risultato di una tattica militare ben precisa, studiata e perfezionata negli anni. Stiamo parlando della celebre falange macedone, la formazione dell’esercito che ha permesso ad Alessandro Magno di spingersi ai confini del mondo conosciuto allora. Ma l’esercito che distrusse il persiano Serse deve molto al suo principale ideatore, Filippo II, colui che mise in atto diverse modifiche per rendere invincibili i suoi uomini.

Il padre di Alessandro, Filippo II, è colui che ha plasmato questa invincibile creatura. Filippo fu il padre del “nuovo esercito”, artefice dell’espansione macedone che porterà questo regno fino all’India. Il primo passo fu sconfiggere i Greci – IV secolo a.C. – ormai dilaniati da dissidi interni, lontani dalla coesione che portò alle eroiche imprese delle Termopili e di Platea. I rapporti tra le città-stato, infatti, erano andati deteriorandosi negli anni, a causa delle annose controversie riguardanti rotte commerciali e sovranità territoriali. I Greci restavano i detentori della più alta cultura del tempo, ma i barbari non avrebbero tardato ad arrivare.

INFRA 1Chi erano i Macedoni? I “cugini” dei Greci, erano considerati da questi semplicemente “barbari”, letteralmente dal greco bàrbaros “balbuzienti” in riferimento all’incapacità di parlare la lingua greca. I Macedoni, semplicemente, non facevano parte della cultura greca. Ma saranno proprio loro – soprattutto con l’opera straordinaria di Alessandro – a diffondere quest’espressione culturale, nel periodo storico che prenderà il nome di Ellenismo, andando a toccare tutto il bacino del Mediterraneo e il Medio Oriente fino in India.

I greci guardarono con crescente sospetto l’evolversi di questo regno di “prodotti ibridi” e ne ebbero timore, dopo alcune importanti sconfitte (dovute alla grande abilità militare ma soprattutto politica di Filippo), fino alla formazione della Lega di Corinto, l’accordo che riuniva sotto un’unica bandiera tutte le polis ad eccezione di Sparta.

Il re macedone Filippo si fece eleggere comandante in capo dell’esercito unitario. È l’inizio di una grande storia militare: questa mossa viene tuttora considerata un vero e proprio capolavoro politico-strategico. Filippo dispone così di un esercito professionista, il suo, e di svariati contingenti greci. Tanta forza e grandezza per cosa? Per realizzare il suo sogno: conquistare l’Asia persiana.

Per il progetto espansionistico di Filippo serviva una profonda riforma dell’esercito. Nella situazione da riformare, Filippo si ritrova una struttura con alcune lacune: l’aristocrazia macedone forniva i contingenti di cavalleria pesante, fragili contro avversari veloci sul campo; numerose nuove leve venivano arruolavate per rimpolpare le fanterie leggere da schermaglia, ma restavano poco efficaci nel corpo a corpo; gli opliti pesantemente armati di lancia e scudo, una volta lasciati da soli in battaglia, sarebbero stati incapaci di resistere negli scontri più duri e logoranti.

L’oplita “medio” era di estrazione popolare e molto attaccato al proprio territorio d’origine. Per questo motivo le formazioni oplitiche non avrebbero avuto sufficiente motivazione e conseguente forza sul campo nelle campagne militari al di fuori dei confini nazionali di appartenenza. Filippo si servì allora di un esercito professionista. I soldati di Filippo (e poi di Alessandro) non sarebbero stati chiamati alle armi per difendere le proprie case ma per combattere guerre di conquista in territorio straniero, e ampiamente ricompensati. L’esercito veniva rifornito del migliore equipaggiamento possibile. Siamo dunque a un momento importante: è la prima volta nel mondo greco in cui non è il singolo individuo a doversi procurare l’armamento in base alla propria disponibilità economica.

Filippo ebbe modo di studiare prima di Cheronea – la battaglia che ne consacrò il dominio nella Penisola greca – la leggendaria falange tebana, inventata decenni prima da Epaminonda, uno dei più grandi condottieri greci. Fu durante un esilio a Tebe che comprese la combinazione di affondo e rapidità di movimento, oltre che di spostamento sul campo, utile a sbriciolare da una parte all’altra la formazione avversaria. La tecnica trovò successivamente applicazione proprio contro Tebani e Ateniesi, i quali ne uscirono annientati. Il Battaglione Sacro, imbattuto da oltre trent’anni, fu sterminato dai Macedoni e fu così che arrivò il trionfo del giovane Alessandro e anche l’inizio della sua ascesa.

La grande strategia macedone. L’esercito prevedeva uno schieramento “obliquo” con una disposizione di uomini in 50 ranghi di profondità sul lato sinistro della falange e un assottigliamento dei restanti ranghi al centro e a destra. Durante lo scontro sul campo la forte area sinistra dello schieramento comportava un inevitabile sfondamento del lato destro avversario. Il centro e la destra dai ranghi rimasti “assottigliati” resistevano o arretravano con ordine, assecondando la spinta avversaria fino all’aggiramento da parte della sinistra in assalto. A quel punto il centro e la destra potevano spingere avanti, chiudendo i nemici e annientandoli.

Si trattava di una modifica al Battaglione Sacro tebano che combatteva proprio con questa tecnica. Filippo voleva più mobilità e velocità rispetto al modello tebano e per questo bisognava modificare l’armamento dei soldati. La falange macedone introdusse i pezeteri, soldati a piedi, dotati di una lunghissima picca – la sarissa, lunga oltre cinque metri – equipaggiati di corazze più leggere e uno scudo circolare di piccole dimensioni legato all’avambraccio sinistro, abbandonando di fatto il grande e ingombrante oplon classico.

INFRA 2Lo schieramento dei pezeteri marciava compatto con le picche delle prima file abbassate, e quelle delle file retrostanti tenute alte a impedire che frecce e giavellotti avversari facessero troppi danni. Nella zona “debole” dello schieramento macedone, il lato destro, venne piazzato il nuovo gruppo degli ipaspisti (letteralmente i “portatori di scudo”). Equipaggiati alla leggera ma dotati di grandi scudi da difesa, questi proteggevano la falange dei pezeteri affinché non venisse colpita in caso di aggiramento da parte del nemico.

Gli altri reparti che si vanno ad aggiungere sono gli arcieri, i lanciatori di giavellotti peltasti armati anche di spada. Queste tre tipologie di soldato agivano davanti alle falangi, spostandosi dietro in caso di esaurimento delle munizioni o delle proprie armi. In ultimo troviamo le cavallerie, in particolare era presente la temibile cavalleria pesante macedone, formata dagli esponenti dell’alta aristocrazia e dallo straordinario valore. Si presentavano schierati a rombo in ali di 200 uomini, tutti con armature pesanti e senza alcuno scudo a difesa.

INFRA 3Tutto lo schieramento, coordinato per distruggere il nemico, non ha avuto particolari fragilità per diversi anni fino alla prematura morte di Alessandro, motivo per cui i vertici militari hanno dapprima diviso e poi mandato in frantumi l’impero macedone.

Alessandro, prese l’eredità del padre – morto a causa di una congiura di palazzo – le sue riforme e la sua strategia bellica per inseguire il disegno di una grande Macedonia. Sarà grazie al “motivatore” e condottiero Alessandro – poi divenuto Magno – e all’inesauribile forza del suo esercito che furono conquistate città come Babilonia, Menfi e Persepoli e fondate altre nel segno del passaggio del Grande Alessandro.


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