Gino Bartali e la staffetta “salva ebrei”

Di Francesco Polizzotto – Israele conferirà la cittadinanza onoraria a Gino Bartali. La cerimonia è in programma per mercoledì prossimo, a due giorni dal via del Giro d’Italia, che partirà quest’anno da Gerusalemme per celebrare il 70° anniversario della nascita dello Stato ebraico. Lo ha annunciato Simmy Allen, portavoce di Yad Vashem (museo della Shoah della città santa, fondato nel 1953) anticipando che all’evento parteciperanno anche un rappresentante della famiglia Bartali e alcuni corridori del Giro.

«La legge sui Giusti delle nazioni consente a Yad Vashem la prerogativa di conferire anche, in casi particolari, una cittadinanza onoraria di Israele a chi fosse ancora in vita, oppure postuma ai suoi congiunti – ha spiegato Simmy Allen – una procedura molto rara e che viene usata col contagocce». Bartali già nel 2013 era stato infatti dichiarato “Giusto tra le nazioni”, riconoscimento per i non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare anche un solo ebreo durante le persecuzioni naziste. Nella motivazione dello Yad Vashem si leggeva che Bartali, cattolico devoto, nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città, cardinale Elia Angelo Dalla Costa”.

L’Italia aveva riconosciuto il gesto eroico di Bartali nel 2005, a quasi cinque anni dalla sua morte. Il 31 maggio l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnava alla moglie di Bartali, Adriana, la medaglia d’oro al valor civile (postuma) allo scomparso campione per aver aiutato e salvato tanti ebrei durante la seconda guerra mondiale. La medaglia d’oro al valor civile veniva accompagnata dalla seguente motivazione: «Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità e assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell’alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà. 1943-Lucca».

La staffetta “salva ebrei” vide Gino Bartali trasportare, all’interno della sua bicicletta, dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità. Questa attività nacque dalla collaborazione tra il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città Elia Angelo Dalla Costa.

Quando il cardinale Dalla Costa lo convocò, Gino Bartali montò in sella alla sua bicicletta e si precipitò in piazza San Giovanni, all’Arcivescovado. Firenze in quelle sere di fine 1943 era desolata. Il mese di novembre fu terribile per gli ebrei, con numerose retate da parte delle SS, irruzioni anche nei palazzi della Curia e arresti di sacerdoti. L’argomento era semplice: a Firenze arrivavano tanti profughi ebrei, servivano cibo, un tetto e carte d’identità false. Chi meglio di Gino Bartali poteva svolgere il ruolo di staffetta per trasportare i documenti? Certo, così metteva in pericolo pure sé stesso e la sua famiglia, perché qualora fosse stato scoperto, sarebbe stato arduo negare il suo coinvolgimento. Chi avrebbe fermato però Bartali, il campione già vincitore due volte al Giro d’Italia (1936 e 1937) e una volta al Tour de France (1938)?

Il compito prevedeva la massima segretezza e Bartali accettò di far parte della rete dei falsari, tacendo con chiunque di questo suo incarico. Addirittura usciva di casa senza spiegare niente a sua moglie e al figlioletto di pochi anni, Andrea. Sarà proprio Andrea Bartali a descrivere dettagliatamente questa straordinaria attività del padre a favore degli ebrei perseguitati nel libro “Gino Bartali, mio papà” (Lìmina Editore, 2012), una raccolta di racconti, aneddoti e testimonianze necessari per mantenere viva l’immagine di Gino.

La prima volta Gino partì di casa appena dopo l’alba, dicendo alla moglie che andava ad allenarsi per qualche giorno. Arrivò in centro, nel luogo concordato col cardinale Dalla Costa e un prete gli consegnò un fascio di fotografie. Gino le arrotolò strette e le infilò nel tubo posteriore della bici, dove poi rimise il manico del sellino, stringendo il bullone. In quei mesi tra il 1943 e il 1944 ci furono diverse “sgambate” o allenamenti di questo tipo. Ogni volta, in luoghi sempre diversi, Bartali si incontrava con qualcuno che gli consegnava un fascio di fotografie e ogni volta lui riponeva nello stesso tubo della sua bicicletta. Quindi partiva verso sud-est, attraversando l’Arno e pedalando per quasi duecento chilometri fino ad Assisi.

Eppure una volta lo fermarono ad un posto di blocco e gli chiesero come mai continuasse ad allenarsi in quel periodo caratterizzato dalla guerra. Bartali rispose in modo fiero: «mi alleno per tornare a vincere il Giro d’Italia!»; «Non ci sarà più il Giro d’Italia, caro Bartali» lo incalzavano i militari nazisti; «ah sì, e perché ?» la replica stizzita del Ginettaccio; «Perché non ci sarà più l’Italia !», asseriva gelidamente un gendarme tedesco.

Fortunatamente le cose sarebbero andate in modo ben diverso da quanto espresso (e desiderato) da quel gruppo di soldati. Nessuno controllò il tubo sotto il sellino e Bartali riprese la sua staffetta “salva ebrei”: altri chilometri macinati in favore di una nobile causa. Sarebbero finite quelle lunghe tappe tra Firenze ed Assisi e sarebbe finita la guerra col suo carico di morte e sofferenza. Gino Bartali avrebbe ripreso a pedalare sulle strade del Giro d’Italia ed avrebbe vinto nuovamente la corsa rosa nel 1946, la prima edizione disputata dopo le macerie del conflitto bellico. Due anni dopo altre emozioni ed altro trionfo al Tour de France 1948, quando Gino Bartali conferì alla sua seconda maglia gialla un valore storico-politico, avendo contribuito con le sue vittorie a placare le tensioni scatenatesi in Italia a seguito dell’attentato a Palmiro Togliatti. Anche per questa impresa così come per la staffetta “salva ebrei” Bartali non volle mai prendersi alcun merito: «Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca».

Gino Bartali, l’intramontabile, è stato anche questo: non soltanto un grande sportivo, ma soprattutto un grande uomo!


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