Il caos siriano: polveriera di un conflitto tra superpotenze

Di Francesco Paolo Marco Leti – Alla fine, l’attacco aereo missilistico americano, inglese e francese è arrivato. La sera di venerdì, negli Stati Uniti d’America, durante il cosiddetto “prime time”, nella notte europea e mediorientale, una serie di missili sono stati lanciati dalle navi presenti nel Mediterraneo occidentale, e diversi bombardieri hanno sganciato il loro carico sui cieli siriani.

L’attacco, in se stesso, ha avuto poca rilevanza dal punto di vista militare; più che altro un’azione dimostrativa, ad uso e consumo della propaganda interna, e un messaggio di sostegno verso i propri alleati dell’area oggetto di analisi. Dalle informazioni trapelate, i target dell’attacco sarebbero stati tre: un laboratorio di produzione di armi chimiche, un centro di stoccaggio di tali armi e un vicino centro di comando. La modalità d’attacco sarebbe stata quella tipica del “deconflicting”: gli alleati avrebbero fatto sapere in anticipo alla controparte russa i target d’attacco e, in linea di massima, l’orario d’attacco, onde evitare vittime collaterali russe. La presenza di vittime russe avrebbe potuto far precipitare la situazione. A quanto si apprende, non ci sarebbero state vittime di alcun tipo.

Le motivazioni ufficiali di questo attacco sarebbero quelle di dare un segnale al regime siriano riguardo il presunto utilizzo di armi chimiche nell’attacco avvenuto, qualche giorno fa, a Douma. Le prove di questo attacco chimico non sono ancora state mostrate, anche se, sia il Presidente francese Macron, che il Presidente americano Trump, hanno affermato di avere prove sufficienti a dimostrare che dietro l’attacco ci sia il regime di Assad.  Per chi ha qualche anno sul groppone, la sensazione sgradevole di déjà-vu è inevitabile (Iraq).

Le motivazioni ufficiose di questo attacco sono diverse e importanti. Ciascuno dei tre attori alla guida dell’attacco – Trump, Macron e May – affronta una situazione politica interna alquanto complicata: il Presidente americano continua a doversi difendere dalle accuse di una sua presunta manipolazione dei social durante le scorse presidenziali; il Presidente francese affronta una delicata situazione interna, dovuta ad un calo di consenso sempre più marcato e ad uno sciopero duro da parte dei ferrovieri; il Primo Ministro inglese continua a dibattersi nel “cul-de-sac” determinato dal referendum sulla Brexit. Un’avventura militare all’estero potrebbe riaffermarne il prestigio sia interno che internazionale.

Oltre a queste ragioni di politica interna, vi sono delle ragioni internazionali. Gli Stati Uniti d’America hanno la necessità di giocare un ruolo più attivo nell’area in questione, sostenendo le ragioni dei propri alleati, Israele e Arabia Saudita su tutti. Inoltre, è evidente come il rafforzamento delle posizioni russe nell’area, sia navali (il porto di Tartus diventa sempre più centrale per la presenza della flotta russa sul Mediterraneo) che terrestri (la Russia ha stabilito nuove basi e rafforzato quelle già presenti), rappresenti un rafforzamento dell’influenza di Mosca a danno degli interessi statunitensi.

Anche questa volta, come già avvenuto in passato, l’attacco è stato compiuto in barba ad ogni regola di diritto internazionale. Le Nazioni Unite, bloccate dai veti incrociati delle due super-potenze, non hanno autorizzato alcun tipo di operazione, che è stata portata a termine in modo del tutto unilaterale.

Le reazioni internazionali all’attacco hanno ricalcato il sistema di alleanze internazionali presente. I Paesi del blocco occidentale hanno approvato l’attacco, anche se alcuni si sono dichiarati contrari ad una propria partecipazione diretta (Germania su tutti); i quelli filo-russi, al contrario, hanno sottolineato l’arbitrarietà dell’attacco e lo hanno fortemente criticato (fra questi anche Cina e Iran).

Il nostro Paese si trova in una condizione difficile, con un Governo che dovrebbe occuparsi esclusivamente degli “affari correnti”. L’instabilità politica, seguita alle elezioni del 4 marzo, ci rende una sorta di “anatra zoppa” nel quadro internazionale. Il Governo in carica ha mantenuto le linee guida filo-atlantiche del nostro Paese, nel quadro di un’assoluta non partecipazione (dalle basi militari presenti nel nostro territorio non sono partiti attacchi verso la Siria). Le forze politiche interne presentano un arco di posizioni che vanno dalla condanna assoluta dell’operazione (Lega) a posizioni maggiormente filo-atlantiche, sulle quali sembra essere approdato anche il Movimento Cinque Stelle. Sembra che l’aggravarsi della crisi internazionale non abbia prodotto effetti per il raggiungimento di un accordo di governo.

Infine, un attore sembra essersi eclissato completamente dalla vicenda siriana: lo Stato islamico. Questo e le altre milizie islamiche sembrano essere spariti dalle cronache siriane, come se tali forze fossero etero-dirette e avessero rilevanza e peso solo finché i padrini regionali che le sostenevano continuavano a farlo. Quella siriana sembra essere tornata una vicenda da “guerra fredda”, dove le due maggiori superpotenze e le potenze regionali si scontrano nella ricerca di una supremazia di influenza politica nell’area. La speranza è che questo “gioco” locale non si trasformi in globale.


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