Frida allo specchio (e sullo schermo): dipingi ciò che vedi, o ciò che senti?

Di Silvia Scalisi – Poche persone al mondo possono vantare una fama talmente grande da essere riconosciute soltanto con il semplice nome, senza ausilio del cognome: Dante, Galileo, Leonardo. Geni indiscussi del passato, uomini poliedrici che hanno arricchito l’umanità intera con le loro idee e le loro opere.

Tra questi, può senza dubbio annoverarsi la pittrice messicana Frida. Riflettiamo: è forse necessario specificare Frida Kahlo ? In effetti, no: perché Frida è, e può essere, soltanto lei.

Lo sa bene la regista Julie Taymor che nel 2002 le ha dedicato un film (intitolandolo, appunto, semplicemente “Frida”), che mette in scena l’intensa vita di questa donna, servendosi dell’interpretazione di una magistrale Salma Hayek. In più punti il film riesce a coinvolgere lo spettatore, con una tecnica che utilizza la sovrapposizione dei quadri realmente realizzati dalla pittrice, con le scene vere e proprie, che vengono riprodotte pedissequamente: questo permette di comprendere a pieno lo stato d’animo, le emozioni, il “background” che ha portato alla realizzazione di quell’opera. Ed è in questo modo che si riesce a capire quanto Frida mettesse se stessa nei propri quadri, senza filtri, senza ombre, ma con l’intenzione precipua di denudare la propria anima.

Donna eccentrica e talentuosa, che ha saputo trasformare il dolore causato dalla tragedia che l’ha colpita ad appena diciotto anni, in uno sfogo inesauribile di creatività e bellezza, che incanta ancora oggi.

Vittima di un terribile incidente che la costringe all’immobilità sul suo letto per parecchi mesi (colonna vertebrale spezzata in tre punti, collo del femore e costole frantumati, undici fratture alla gamba sinistra, osso pelvico spezzato in più punti, sono solo alcune delle conseguenze riportate), la giovane e dolorante Frida inizia a dipingere. E cosa potrà mai rappresentare, chiusa tra le quattro mura claustrofobiche della sua stanza? Se stessa, ovviamente.

Proprio lei, riflessa su uno specchio che le regalano i suoi genitori, diventa il soggetto preferito delle sue opere. Frida inizia, così, una serie di autoritratti, crudi, diretti, reali: non si abbellisce, non si agghinda, guarda dritto davanti a sé e scorre sul foglio col pennello.

Una volta scoperto lo sfogo della pittura, non potrà più farne a meno, come se si nutrisse di quei colori che per lei diventano linfa vitale, unico svago che può permettersi, accanto a quello della lettura, per evitare di sprofondare nella noia di giorni tutti uguali.

Dipinge ciò che vede, ciò che sente: lei al centro di tutto, sempre, quello sguardo duro, fisso davanti a sé, che guarda lo spettatore, quasi con aria di sfida. “Stai guardando me? O stai guardando dentro di me? Cosa vedi? Ti piace quello che vedi?” sembra volerci domandare in ogni opera.

E anche dopo essere riuscita ad alzarsi dal letto e aver ripreso a camminare, anche dopo aver

trovato l’amore nel compagno di una vita Diego Rivera (nel film, interpretato da Alfred Molina), Frida continua a dipingere incessantemente, come se la pittura fosse per lei un bisogno fisiologico: ogni evento della sua vita resterà impresso sulla tela, perché la sua arte è verità, lei dipinge se stessa e tutto ciò che sta intorno a lei.

Il dolore diventa per lei una costante di vita: non solo quello fisico – che non la abbandonerà mai dopo l’incidente – ma anche, e soprattutto, quello dell’anima. Sono le cicatrici che non si vedono, infatti, quelle che la devastano maggiormente: i ripetuti tradimenti di suo marito Diego Rivera (il peggiore dei quali sarà con la sorella della stessa Frida, Cristina), l’aborto, il carcere, sono solo alcuni degli eventi che ispireranno e influenzeranno profondamente la sua arte, rendendola incomparabile.

“Frida” è un film dinamico, vivace, perfettamente in linea con la vita breve, ma burrascosa e intensa di una donna, che non ha posto limiti alla sua esperienza sensoriale ed intellettuale, nonostante fosse intrappolata in uno scheletro fragile e spezzato, che non le ha impedito di dare luce a capolavori unici e ineguagliabili.