Storie di frontiera

Di Francesco Puleo – Da giorni si discute, con dosi variabili di retorica nazionalista, dei fatti accaduti a Bardonecchia il 30 marzo scorso. In base alle ricostruzioni ufficiali, un nigeriano che risiede regolarmente in Italia è stato intercettato dalla Gendarmerie francese sul treno Parigi-Napoli all’altezza del tratto compreso tra Modane e Bardonecchia, un piccolo paese della Val di Susa.

Secondo il comunicato ufficiale delle autorità d’oltralpe, l’uomo sarebbe sospettato di avere trasportato droga in corpo e perciò sottoposto ad un controllo delle urine nei locali della stazione occupati dalla ONG Rainbow4Africa, impegnata da tempo nella cura e nell’informazione dei migranti che provano a oltrepassare la frontiera. I volontari dell’associazione sostengono che i gendarmi abbiano fatto irruzione armati di pistola e taser e di avere subito minacce e intimidazioni.

Nei giorni immediatamente successivi all’accaduto, la procura di Torino ha aperto un’indagine, ipotizzando i reati di abuso in atti d’ufficio, violenza privata e violazione di domicilio. Dal momento che i profili giuridici della questione sono estremamente complessi in virtù della sovrapposizione dell’accordo di Schengen con l’accordo di Chambery del 1997, il trattato di Prüm del 2005 e l’accordo italo-francese di cooperazione bilaterale del 2012, attendiamo che la giustizia faccia il suo corso.

Limitiamoci a sottolineare che l’intervento delle forze dell’ordine francesi non costituisce di per sé una violazione della sovranità: il vero problema è stabilire se la Gendarmerie abbia o meno ottenuto l’autorizzazione da parte delle autorità italiane ad eseguire un fermo a carico del migrante nigeriano.

Il tema di cui occorre discutere è quello di ordine politico. Oltre a Di Maio, le cui dichiarazioni sono ormai oggetto di parodie quotidiane sui social, tutte le forze parlamentari, dalla Lega al Pd, hanno condannato l’atteggiamento della polizia francese. «Non siamo la toilette di Macron. L’Italia chiami Macron e gli ricordi che qui nessun agente straniero può venire a far valere la propria autorità», ha dichiarato la parlamentare di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli. «Siamo un Paese sovrano non una provincia della Francia. I campioni delle urine li prendano nei bagni francesi o ne segnalino la necessità alle nostre forze dell’ordine», ha detto il parlamentare europeo del Pd Daniele Viotti.

La somiglianza tra queste dichiarazioni è anche e soprattutto nel non detto: nessuno condanna la violazione dei diritti dei migranti, in barba a qualsiasi norma di diritto internazionale e di buon senso. Nemmeno Gérald Darmanin, ministro dei conti pubblici con competenza sulle dogane del governo Macron, che dopo un silenzio assordante durato quasi una settimana si è scusato ufficialmente a nome del governo francese.

Se pensiamo che i fatti di Bardonecchia seguono quelli ben più tragici del 9 febbraio, quando una donna nigeriana malata e incinta è stata rispedita in Italia mentre provava ad attraversare la frontiera con la Francia, l’ipotesi di una comunione d’intenti a livello europeo tra le forze “populiste” e quelle europeiste di centrodestra e centrosinistra diventa una certezza. Non ci stupiremo allora se, dopo i decreti Minniti, il Pd appoggerà un’ulteriore stretta sui flussi migratori e sui diritti dei migranti, proposta questa volta da un governo a trazione leghista.


 

 

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