Maggioranza parlamentare cercasi… invano?

Di Mario Montalbano – Non avere una vera e propria maggioranza parlamentare al termine del voto, non rappresenta di certo una novità per l’Europa nell’ultimo periodo. La Spagna, per ben due volte, l’Olanda, la Germania in stretto ordine cronologico rappresentano esempi lampanti di una tendenza che trova le sue ragioni non solo nelle specificità dei singoli sistemi elettorali dei paesi, ma anche nella perdurante crisi dei partiti tradizionali. L’Italia, in questo senso, non fa eccezione. Il voto del 4 marzo, infatti, ci ha consegnato un paese privo di qualsiasi tipo di maggioranza parlamentare in grado di costituire un governo stabile.

Una situazione simile al 2013, quando l’exploit del M5s aveva sparigliato lo schema bipolare di un sistema che aveva visto fino a quel momento l’alternanza al governo delle coalizioni di centrodestra e centrosinistra. Allora, al di là dell’affermazione del movimento, tanto il Partito democratico quanto Forza Italia, e di seguito i suoi fuoriusciti, si trovavano nelle possibilità di poter condividere un percorso comune di governo. Com’è avvenuto seppur brevemente.

Adesso, però, il quadro appare senza dubbio differente. Il Movimento Cinque Stelle non è più un mero spauracchio dell’antipolitica, dell’euroscetticismo, piuttosto il primo partito nazionale per distacco con il 32% dei consensi. Senza dimenticare il contemporaneo crollo del Partito democratico di Matteo Renzi, e il capovolgimento interno alla coalizione di centrodestra con la Lega di Matteo Salvini diventata leader dell’intero fronte ai danni di Forza Italia di Berlusconi. Un autentico tsunami politico, avvalorato da numeri incontestabili, che difficilmente possono trovare la propria ragione nel solo voto di protesta.

È evidente che siamo di fronte a una rivoluzione con il 50% degli elettori che hanno preferito premiare due partiti simili per la loro contestazione degli schemi tradizionali della politica, dell’economia e in ultimo dell’impianto comunitario. E da questa presa di posizione bisogna ripartire anche nella costituzione del prossimo governo. Alla luce del fatto che tanto la porzione del Sud che ha votato in massa M5s, quanto quella del Nord che ha votato centrodestra e in particolare Lega non può rimanere esclusa dai discorsi relativi al governo nazionale.

Negli ultimi giorni si è molto discusso di un supporto a qualsiasi governo da parte del Pd. Ma, dai vertici del partito, alle prese con l’ennesimo ribaltone interno, tutto lascia presagire che a questo giro i democratici rispetteranno il voto che li ha messi all’opposizione. La palla a questo punto passa al capo dello Stato, Sergio Mattarella, il quale richiamerà sicuramente, come già fatto, al senso di responsabilità istituzionale di tutte le forze politiche.

Lo aveva già fatto all’epoca Giorgio Napolitano durante il suo insediamento nel 2013, invocando una riforma costituzionale condivisa e una legge elettorale che permettesse al paese di avere un governo stabile. E sappiamo bene com’è andata. Lo scenario, quindi, è poco augurante e in mano a due partiti, che al di là dei numeri, dovranno dimostrare capacità di dialogo con le altre forze politiche. Attitudine finora inespressa.

Non ci resta che attendere, insomma, con la consapevolezza che potrebbero occorrere mesi per trovare una qualsiasi soluzione, un po’ com’è avvenuto in Spagna, Olanda e Germania. Tempi incompatibili con la necessità di approvare la manovra finanziaria, che, infatti, potrebbe essere portata avanti dal governo Gentiloni, fino a prova contraria ancora in carica. E chissà per quanto tempo lo sarà.