Donne e politica: il potere al femminile non incide quanto quello degli uomini

Di Sabrina Landolina – Le  classifiche mondiali appurano che in Italia le donne stanno tornando indietro: in quella elaborata dal World Economic Forum sul gender gap (le disparità fra l’universo maschile e quello femminile) siamo appena precipitati all’82esimo posto (su 144 Paesi). Davanti c’è chi magari sta peggio economicamente – dalla Mongolia all’Uruguay – ma fa meno questioni di genere.

In apparenza, nei luoghi del comando politico è noto un incremento della presenza femminile: 31,3 per cento le deputate, 29,6 le senatrici. Record assoluto nella storia politica italiana, considerando però che nelle democrazie evolute il 30 per cento femminile è presente in tutte.

La differenza tra i sessi in ambito decisionale si percepisce dai ruoli di prestigio e l’incidenza del potere. Analizzando l’ultimo quinquennio italiano notiamo come la presenza femminile sia scesa inesorabilmente: il governo Renzi era partito con 8 ministre su 16, ma Carmela Lanzetta, Federica Mogherini e Federica Guidi hanno rassegnato le dimissioni e sono state sostituite da uomini. Paolo Gentiloni ha seguito la scia: con lui la presenza femminile al governo è scesa al 27,7 per cento.

Esaminando i governi locali la tendenza non cambia. I dossier di Openpolis e di inGenere sono impietosi: due sole presidenti di Regione, la quota delle donne assessore supera il tetto del 35 per cento, ma la stragrande maggioranza delle incaricate si occupa di Affari sociali e Cultura e Lavoro.

All’interno delle Authority: organi di garanzia con incarichi a nomina, e il 30 per cento di presenza femminile. Considerate le 11 principali Autorità (da Consob a Bankitalia, dalla Privacy all’Energia) fra i 42 membri di Commissione 13 sono donne. Ma nell’ambito delle presidenze, una sola è declinata al femminile. Ovviamente, la Garante per l’infanzia, Filomena Albano. Ci sono importanti eccezioni, è vero: per la prima volta nella storia della Repubblica, Segretario generale di Camera e Senato sono due donne: Lucia Pagano e Elisabetta Serafin. E poi Virginia Raggi e Chiara Appendino, che siedono sulla poltrona più importante, rispettivamente, di Roma e Torino. Ma sono casi sporadici: in realtà, la maggioranza delle donne in politica sta nelle retrovie.

Per contenere il gender gap qualcosa è stato fatto: non quote vere e proprie, ma norme anti-disparità, come la doppia preferenza accordata da diverse Regioni se almeno una delle prescelte è donna, e i nominativi alternati nelle liste, all’obbligo di non eccedere oltre il 60 per cento quanto a presenza di un solo sesso. Agnese Canevari, fondatrice del comitato Pari o dispare, afferma la necessità di un salto culturale nella gestione del potere. Avere più donne vuol dire garantirsi la capacità di leggere una realtà economica e sociale con occhi diversi. È vero che fino a quando nei partiti e in politica le forze si selezioneranno per cooptazione, difficilmente le cose cambieranno.

Uno studio della Bocconi sulla spesa pubblica delle amministrazioni dove le donne contano afferma il miglioramento qualitativo del governo quando le donne ricoprono cariche importanti. Ne sono la dimostrazione i Bilanci gestiti al femminile i quali dedicano più risorse agli investimenti che alla spesa corrente, aumentando mediamente del 4 per cento quelle destinate a istruzione e ambiente.

La media calcolata dall’ultima edizione di Women in Politics dice che nel mondo solo il 23,3 per cento dei leader politici mondiali sono donne. Primi in classifica, sono due inimmaginabili: Rwanda e Bulgaria, rispettivamente il Paese con più donne parlamentari il 61 per cento e donne ministre  il 51,9 per cento.

Sopra la soglia della parità, con oltre il 50% di donne sui sedili che contano, i Paesi si contano sulle dita di una mano: per quanto riguarda le parlamentari, oltre al Rwanda, supera la metà soltanto la Bolivia; va un po’ meglio alle ministre, con Francia, Nicaragua, Svezia, Canada e Slovenia che godono della parità nelle responsabilità di governo.

L’Italia è trentaseiesima per donne ministre con il 27,7 per cento, e ricopre la 43esima  posizione per parlamentari. Alla Camera, infatti, le donne sono il 31 per cento e solo il 28 per cento al Senato.  Sebbene viga la legge sulle quote rosa, la situazione italiana non è delle migliori.

Un’altra questione che preme, è quella relativa al prestigio dei ministeri: le donne italiane che esercitano la funzione di ministro, si occupano per lo più di Affari Sociali, Ambiente, e Famiglia. Invece, per esempio  il ministero dell’Economia, oppure quello delle Finanze, sono per lo più governati da uomini.