Una speranza senza tempo, in un tempo (quasi) senza speranza: il simbolo della pace

Di Silvia Scalisi – Il simbolo della pace compie sessant’anni. Anche se, a vederlo così, gliene daremmo molti di più: per la sua efficacia e immediatezza, infatti, si ha come l’impressione che sia sempre esistito, e che sempre esisterà.

Nessuno riflette sul fatto che qualcuno, un giorno, lo avrà pur dovuto “inventare” questo simbolo. Ebbene, c’è stato un uomo che, 60 anni orsono, ha disegnato questo cerchio e queste linee, dandogli un significato parzialmente diverso da quello che poi ha assunto negli anni.

Tutto ha inizio nel 1958: la CND (Campagna per il Disarmo Nucleare in Gran Bretagna), guidata dal filosofo Bertrand Russell, commissiona a Herald Holtom, disegnatore commerciale e pacifista convinto, un’icona che potesse diventare il simbolo della lotta al nucleare.

Serviva qualcosa di semplice, chiaro, che potesse essere capito immediatamente, che restasse impresso nella memoria. Holtom parte da un’idea singolare, ma disarmante nella sua semplicità: pensa all’alfabeto semaforico (quello usato in ambito di navigazione navale, che utilizza movimenti di braccia e bandiere) e considera due lettere, la N e la D, iniziali di “Nuclear” e “Disarmament”, per l’appunto. La N si rappresenta con entrambe le braccia aperte verso il basso, la D con un braccio dritto in alto e uno in basso, parallelamente. Così, sovrapponendo i due segnali, nasce quello che poi diventerà il simbolo della pace, come tutti noi lo conosciamo.

La nuova icona viene immediatamente riprodotta con tratto nero su distintivi bianchi in creta, e distribuita dai membri del CND a tutti gli attivisti e a chiunque volesse esprimere il proprio disappunto nei confronti del nucleare: in tal modo, dicevano, questa sorta di “spillette” sarebbero state tra gli ultimi oggetti prodotti dall’uomo, prima della catastrofe atomica, ritenuta imminente.

E proprio alla lotta al nucleare si collega la prima apparizione del simbolo, che avvenne sempre nel 1958, durante la Marcia di Aldermaston (conosciuta anche come Marcia di Pasqua), una grande manifestazione anti-nucleare che partì da Trafalgar Square a Londra per terminare, appunto, nella cittadina di Aldermaston, sede della produzione delle armi nucleari britanniche.

Tra le idee iniziali di Holtom ci fu anche quella di utilizzare la croce latina inserita in un cerchio, posto poi cambiare proposito dopo aver sentito il parere di alcuni sacerdoti, che mostrarono estremo disappunto riguardo all’immagine della croce cristiana usata in manifestazioni di protesta. Meglio un simbolo “neutro”, asettico, che non celasse alcun riferimento a confessioni religiose e affini. Ed in effetti, il successo di questo simbolo sarà dovuto proprio alla sua neutralità, espressione di un linguaggio universale (indicativo il fatto che non fu mai, volutamente, coperto da copyright), che gli ha permesso di essere utilizzato nei modi più disparati, plasmandosi alle cause più diverse: dai movimenti ambientalisti, alla difesa dei diritti delle donne, degli omosessuali, alla lotta all’apartheid, e molti altri ancora; verrà persino importato negli Stati Uniti, e utilizzato come simbolo nelle proteste contro la guerra del Vietnam.

Vani i tentativi di gettare fango su questa icona: si è parlato delle sue presunte «origini sataniche», o di oscuri collegamenti con il comunismo; tutte ipotesi smentite dallo stesso Holtom, che ne ha sempre ribadito la natura genuina e scevra da ogni riferimento politico, ideologico o religioso. In verità, questo simbolo così carico di energia positiva, nasconde anche un qualcosa di oscuro. Holtom, infatti, ammetterà di averlo pensato in un momento di estrema disperazione, causato dall’impotenza di fronte alla guerra: «Ero in uno stato di disperazione. Profonda disperazione. Ho disegnato me stesso: la rappresentazione di un individuo disperato, con le palme delle mani allargate all’infuori e verso il basso, alla maniera del contadino di Goya davanti al plotone d’esecuzione. Ho dato al disegno la forma di una linea e ci ho fatto un cerchio intorno».

Queste le sue parole, dure, sofferte, che celano la rassegnazione di un essere umano dinanzi alla guerra, alla distruzione, alla devastazione. Cosa può fare un uomo davanti a tutto questo? Aprire le braccia, e aspettare di essere giustiziato dal plotone di turno.

Un simbolo nato, dunque, nella disperazione, che in seguito verrà arricchito dai colori dell’arcobaleno; un’icona che ancora oggi grida un messaggio, sempre forte e chiaro: un messaggio universale di speranza e di rispetto, che non conosce razza, religione, colore, ma rappresenta soltanto l’amore per la vita umana.

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