Kalashnikov, l’arma che ha insanguinato i cinque continenti

Avtomat Kalashnikova mod. 47, meglio conosciuto come AK-47, è un nome che anche per i non addetti ai lavori rappresenta un’icona dell’export russo. Il fucile d’assalto russo è sicuramente uno dei più longevi e più utilizzati al mondo grazie al suo costo di produzione contenuto, l’estrema affidabilità (è capace di sparare anche in condizioni estreme) e la facilità di utilizzo, tanto che, purtroppo, anche un bambino è capace di utilizzarlo.

La definizione ufficiale era Avtomat Karabin Kalashnikova obraztsa 1947 goda (ossia Carabina Automatica modello 1947 progettata da Kalashnikov); i natali dell’arma risalgono però al 1942 con i progetti tedeschi di un fucile dotato di fuoco selettivo (possibilità di scegliere fra semiautomatico e raffica libera) da dare alla fanteria. Idealmente il padre sarebbe il fucile FallschirmjagerGewehr42 o FG42, il primo fucile d’assalto relativamente leggero impiegato come tale.

I capostipiti a livello concettuale sono invece tre fucili automatici rivoluzionari, sempre creati dai tedeschi: il MKb42 (MaschineKarabiner 1942), lo MP43 e infine lo SturmGewher 44 (STG 44). In particolare da quest’ultimo è stato mutuato l’utilizzo di una cartuccia cosiddetta intermedia, cioè un tipo di munizione a metà strada tra una da pistola e una da fucile; il risultato fu la creazione di una cartuccia con buone prestazioni balistiche, più leggera e più controllabile rispetto ad una cartuccia da fucile. Venne quindi creata la cartuccia 7,92x33mm Kurtzpatrone su cui sono stati disegnati i tre modelli sopracitati.

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A guerra finita, i Russi ebbero da subito la consapevolezza di possedere i segreti di un’arma dall’alto valore tecnologico capace di eccezionali prestazioni. Pertanto, per aiutarne la diffusione tra gli eserciti alleati o “sotto il proprio controllo”, idearono una vera e propria leggenda sulle circostanze in cui il sergente Kalashnikov della fanteria corazzata dell’Armata Rossa ideò il fucile mitragliatore AK-47, dopo aver visto in battaglia l’efficacia della munizione intermedia tedesca.

Secondo la versione ufficiale diffusa dagli esponenti militari russi, Kalashnikov fu ferito nel corso di un’azione militare nel corso delle operazioni belliche della Seconda Guerra Mondiale; fu proprio mentre si trovava in convalescenza presso l’ospedale militare che il sergente carrista ebbe modo di riflettere a lungo sulla possibilità di mettere a punto un’arma dotata di caratteristiche tali da garantire al proprio Paese un’adeguata supremazia in fatto di armamento per i propri soldati.

Kalashnikov apprese che gli esponenti militari sovietici avessero l’intenzione di sostituire il vecchio ed ormai inefficace fucile Simonov SKS con un nuovo fucile d’assalto a corto raggio che potesse utilizzare le nuove cartucce in calibro 7,62 × 39 mm e che risultasse molto simile per prestazioni, se non superiore, al fucile mitragliatore tedesco StG-44 Sturmgewehr ma capace allo stesso tempo di superarne i difetti.

Per la nuova arma Kalashnikov prese come spunto il meglio di varie armi tra cui il gruppo grilletto, il sistema di bloccaggio a due perni e il metodo di sblocco delle carabine M1 americane. Il meccanismo di sicura era quello brevettato da Browning per il Remington M8 mentre il sistema dei gas era identico a quello dell’STG 44 tedesco dal quale riprese sicuramente le dimensioni, la concezione della struttura principale ed i caricatori di tipo curvo.

Durante la Guerra fredda, l’Unione Sovietica fornì le proprie armi ai combattenti di tutto il mondo. Mentre la NATO ed i Paesi occidentali impiegavano fucili relativamente costosi come l‘M14, l‘G3, l’M16 o l’SG-510 la produzione facile ed economica degli AK-47 permetteva alla Russia di armare i propri alleati con estrema facilità.

A causa del quantitativo enorme di pezzi prodotti in settant’anni di attività, circa 185 milioni di esemplari tra primo modello, varianti e derivati, l’AK-47 è una delle armi più gettonate nel mercato nero, soprattutto in Africa, dove è possibile acquistare l’arma preferita da qualsiasi movimento ribelle.

Nel continente nero, un kalashnikov costa la metà che nel resto del mondo. Perché? Probabilmente perché provengono principalmente dagli eserciti governativi. Solitamente i soldati sono pagati molto male e quindi sono tentati di vendere le loro armi o di rubare le scorte. Le armi sono quindi importate legalmente, poi vengono rubate e non possono, dunque, essere facilmente riportate sul mercato legale.

I fucili non rimangono sempre nel primo paese importatore nel continente. I confini interni dell’Africa sono estremamente porosi, per cui le armi a basso costo girano per il continente, dirette ovunque esista una domanda in quel dato momento. Per questa ragione, non sorprende che un fucile rubato in Somalia sia acquistato e utilizzato, ad esempio, in Liberia, dall’altro lato del Continente.

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L’AK-47, nel corso della sua storia, è divenuto un’icona in quasi tutto il mondo. Nei paesi del blocco occidentale è stato sempre associato al nemico, il comunismo e, a partire dagli anni 2000, al terrorismo islamico. Nei paesi del blocco sovietico, filo-comunisti o nei paesi in via di sviluppo è stato identificato come il simbolo della rivoluzione e della lotta, tanto che è presente nella bandiera del Mozambico e degli Hezbollah.

Con l’estrema facilità e basso costo di costruzione, l’AK-47 è quindi l’arma da fuoco che ha causato più morti delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Recentemente la società russa Kalashnikov ha presentato il nuovo logo, affiancato dal nuovo slogan “promotore di pace”. Il rebranding di Kalashnikov è legato alla crisi di vendite dell’AK-47: da qualche anno l’industria che produce i fucili ha ridotto significativamente le sue commesse.

Il mercato mondiale è invaso dalle imitazioni – l’AK-47 è stato clonato in quasi tutti i continenti, con fabbriche in Bielorussia, Bulgaria, Romania e Serbia, nei paesi africani e in Cina – e i depositi russi ne sono strapieni. Nel 2012 Kalashnikov ha dichiarato bancarotta: lo scorso anno ha venduto parte delle quote a un investitore privato, che ha pianificato una massiccia operazione di rebranding.

La gamma dei prodotti in vendita è stata ridotta e la società è stata riorganizzata secondo tre linee di business: “Kalashnikov”, l’unità militare; “Baikal”, che vende fucili da caccia ed esporta per lo più negli Stati Uniti; “Izhmash”, che è specializzato nella produzione di fucili sportivi, come quelli usati nel biathlon. L’idea adesso è dare al Kalashnikov l’immagine di “arma di pace”, un’idea molto lontana dall’uso che si è fatto del fucile negli ultimi sessant’anni.

In alcuni video presentati a Mosca una voce ci dice: «[Il kalashnikov] ha partecipato non solo a una rivoluzione tecnologica, ma anche sociale. I movimenti per la libertà di Africa, Asia e America Latina hanno potuto combattere contro eserciti coloniali formati da professionisti. L’AK-47 ha dato loro l’opportunità di chiedere nuovi diritti e giustizia. Si tratta di un’arma che ha aiutato le persone a difendere le loro famiglie e lottare per il diritto ad avere un futuro di pace».

In un altro video proiettato sempre durante l’evento a Mosca viene mostrata un’operazione militare di una squadra speciale dell’esercito russo contro dei sospetti terroristi nel nord del Caucaso. Il video, nel quale i soldati russi sono armati di Kalashnikov, termina con la frase: «Kalashnikov: promotore di pace e tranquillità».

L’idea di fondo è quindi quella di rilanciare l’immagine della società rendendola più spendibile all’estero. Non importa se il nuovo simbolo sembra più il logo di un supermercato, ma forse lo scopo è proprio questo: creare un supermercato di armi.

Daniele Oro