Russia 2018 | Russia e Unione Europea, destinate a non comprendersi?

Di Alessandro Ambrosino – Sfatiamo subito un mito: per quanto siano comparse notizie di un possibile disgelo nelle relazioni tra Unione Europea e Federazione Russa, è molto improbabile che questo avvenga nel breve periodo. Fra i due, attualmente, se non si può parlare di scontro diretto, le diffidenze politiche superano di gran lunga gli interessi comuni e né dall’una né dall’altra parte c’è desiderio di stringere alleanze o collaborazioni tra pari. Tale evidenza sembra essere confermata dai risultati finali delle reciproche visite dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Federica Mogherini a Mosca ad aprile 2017 e quella seguita a luglio del Ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a Bruxelles. In entrambe le occasioni ambedue si sono detti disponibili a riprendere immediatamente il dialogo ma i tentativi di normalizzazione dei rapporti si sono risolti in un semplice nulla di fatto. L’aperto disaccordo sulla Questione Ucraina e sull’annessione della Crimea, la quale, va ricordato, per Mosca è una «legittima riunificazione», impediscono ogni riapertura.

Non è dunque un’esagerazione sostenere che gli eventi occorsi nel 2014, dalla crisi nelle pianure del Donbass all’azione militare russa, fino alle conseguenti sanzioni europee, rappresentino la fine di un’era1. Di fatto, il punto di non ritorno tra Mosca e Bruxelles è stato superato mentre i toni da “scontro di civiltà” non hanno fatto altro che alzarsi. Eppure, è facile riconoscere in tale rovesciamento violento l’ultimo e più tragico capitolo di una relazione che da sempre oscilla tra una cooperazione di comodo e un crescente antagonismo culturale e politico. In altre parole, la crisi ucraina ha rivelato in maniera lampante come una «competizione basata sul pragmatismo» si sia trasformata in «aperto confronto»2.

Tuttavia, all’interno di tali dinamiche, ciò che più conta sono le percezioni che gli attori in gioco si creano a vicenda, le quali possono essere fraintese e portare a risultanti potenzialmente fatali. L’Europa, in questo caso, ha spesso mostrato una tendenza a non comprendere del tutto le dinamiche della Russia3, ponendosi nei suoi confronti sempre come una potenza normativa alla quale adeguarsi, senza però considerare le profonde trasformazioni occorse nel Paese negli ultimi quindici anni: il risveglio economico, il peso combinato di Vladimir Putin e di altri attori nella politica interna, la ripresa della consapevolezza di potersi porre come alternativa all’Occidente e soprattutto il rilancio di una politica estera proattiva nelle aree di particolare interesse per Mosca.

La grande narrazione delle relazioni bilaterali tra Russia ed Unione Europea dal lato di Bruxelles può quindi essere descritta come il ripetuto tentativo di indurre la Russia ad adattarsi alle istituzioni europee, con l’obiettivo di inserirla all’interno di un ordine eurocentrico fatto di buone prassi, valori e norme che caratterizzano il cosiddetto “soft power” dell’Unione4. Agli occhi dell’Europa, cioè, anche con Mosca sono valse le stesse regole e condizionalità di tutti gli altri Paesi dell’ex blocco orientale inseriti nella Politica di Vicinato o negli Accordi di Associazione. Va sottolineato che la Russia ha spesso beneficiato di questo approccio, sia per via del fatto di essere considerata un “partner strategico diverso” per la questione energetica, sia per la flessibilità con cui l’Europa stessa ha applicato le regole del gioco, date le differenze di vedute degli Stati Membri nei confronti di Mosca. Inoltre, durante gli anni ’90 e nei primi ’00, all’inizio dell’era Putin, era stata proprio la Russia a sottoscrivere tale programma di “europeizzazione”, entusiasmando i partner occidentali riguardo la possibilità di esportare il loro modello ben oltre l’ex Cortina di Ferro.

«Una relazione che da sempre oscilla tra una cooperazione di comodo e un crescente antagonismo culturale e politico».

​Eppure, al di là degli slogan, la Russia non si è mai avvicinata realmente né a diventare un Paese candidato né ad accettare l’acquis comunitario. Anzi, passati i primi momenti di ottimismo, sono stati gli sviluppi interni ed esterni alla Russia che hanno spinto Mosca a percepirsi in misura sempre maggiore come alternativa di pari grado rispetto all’Occidente. Così, mentre l’Unione Europea stringeva contatti sempre più stretti con gli Stati ex-sovietici, il Cremlino tentava di fare altrettanto, confutando in misura sempre maggiore l’intero insieme di valori, politiche e proposte dell’Occidente. A questo si deve aggiungere il senso di minaccia derivato dall’allargamento della NATO, che arrivava a toccare i confini della Federazione e soprattutto lo spettro della perdita d’influenza sugli spazi ex-sovietici, dato il supporto dell’Europa alle “rivoluzioni arancioni”5. La “Nuova Russia”, dovendo far fronte a queste sfide, si è quindi posta verso l’Europa come una potenza risorta, percependo Bruxelles alternativamente come un partner e come un pericoloso competitore nei Paesi del “vicinato comune”. Questo atteggiamento da parte del Cremlino è stato via via interpretato dall’Occidente come militarista e antidemocratico, causando così una graduale divergenza di vedute che si è definitivamente esplicitata in Ucraina. Attualmente l’equilibrio di poteri è indefinito e, come scrive Vanda Amaro Dias: «Entrambe le parti intendono le proprie politiche come un inevitabile risposta alle minacce dell’altro. […] Di conseguenza, sia Mosca che Bruxelles provano a bloccarsi vicendevolmente le strategie […] perché percepiscono i loro approcci come mutualmente esclusivi»6.

Tutto è perduto dunque, oppure c’è la possibilità di riallacciare un legame? Effettivamente il mix di cooperazione e competizione che ha caratterizzato le relazioni tra Russia ed Europa sta a significare che entrambi riconoscono i benefici di un dialogo costruttivo fra le parti7. Sarebbe necessario, come è stato puntualizzato da un recente saggio del think tank “Chatam House”, che l’Occidente sviluppi ed implementi una strategia chiara e coerente verso la Russia, basata sulla comprensione delle trasformazioni occorse in questi anni e non su narrative di convenienza8. Tuttavia, sic stantibus rebus, è improbabile che il confronto possa essere normalizzato, poiché significherebbe aprire ad una maggiore flessibilità da parte di uno o da entrambi i contendenti. Certamente, ciò è accaduto spesso nelle relazioni internazionali, ma in questa particolare situazione gli attori sarebbero costretti a mettere a nudo alcune debolezze centrali non solo nei propri progetti politici ma addirittura nella stessa narrativa identitaria che è stata costruita da ambo i lati in questi anni. La qual cosa, in tempo di elezioni sia russe che europee, è altamente inverosimile9.
 
1) H. Haukalla, From Cooperative to Contested Europe? The Conflict in Ukraine as a Culmination of a Long-Term Crisis in EU–Russia Relations, in «Journal of Contemporary European Studies», n.23, (2015), p. 26.
2) T. Casier, J. DeBardeleben (a cura di), EU-Russia Relations in Crisis: Understanding Diverging Perceptions, London, Routledge, (2018), p. 5.
3) I. Pellicciari, Quel che l’Occidente non capisce di Mosca, in «Limes», n. 9, (2016), p. 87.
4) H. Haukkalla, From Cooperative, cit., p. 36.
5) R. Kanet, The Russian Challenge to European Union, in «Debater a Europa», n. 18, (2018), pp. 50-51.
6) V. Amaro Dias, The battle of giants: the collision of EU and Russian foreign policies towards the contested neighbourhood and the Ukrainian crisis, in «Debater a Europa», n. 18, (2018), p. 77.

7) Ibidem, op. cit., p. 76.

8) K.Giles, P. Hanson, R. Lyne, J. Nixey, J. Sherr, A. Wood, The Russian Challenge, Chatam House Report, giugno 2015, p. 58.

9) R. Kanet, The Russian Challenge, cit., p. 58.