Il crepuscolo del capitalismo e la rinascita di un nuovo sistema feudale

Di Francesco Paolo Marco Leti – In questi giorni l’Istat ha pubblicato i nuovi dati sulla ricchezza del paese per l’anno 2016: i dati sono disarmanti. Un terzo della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale, in crescita rispetto al 2015, ma contemporaneamente il reddito complessivo aumenta. Il quintile migliore della popolazione con l’aumento della sua ricchezza riesce a controbilanciare la caduta di reddito degli altri quintili e a permettere un aumento complessivo del reddito.

Se questi dati sembrano pessimi, peggiori sono le statistiche che riguardano il meridione. Il 46,9 per cento della popolazione, infatti, risulta essere a rischio povertà o esclusione sociale. Questo significa che il rapporto è di uno su due. Sempre nel meridione l’indice di Gini, che misura la diseguaglianza di reddito, indica il valore più alto pari a 0,349 contro lo 0,331 del paese. Per maggiore chiarezza, l’indice di Gini indica un valore fra 0 e 1 con 1 indicante la massima diseguaglianza. La letteratura economica ritiene che un valore sopra lo 0,4 risulta essere controproducente per l’economia ed, inoltre, rileva come i paesi scandinavi presentano un indice che si aggira attorno allo 0,25. Naturalmente i valori italiani, in tal senso, risultano essere superiori alla media europea.

Come se non bastasse, l’Istat presenta altri dati preoccupanti cioè quelli sull’occupazione. Se da un lato, infatti, la disoccupazione scende, mantenendo in ogni caso l’insostenibile livello dell’11,2 per cento, dall’altro il lavoro a tempo determinato tocca il suo limite massimo dall’inizio delle rilevazioni del 1992: 27.84.000 dipendenti a termine. Date le esigue paghe che ricevano i lavoratori con questi contratti, non stupisce il precedente dato sulla povertà.

Quella che sembra sparita dai radar, in tale contesto, è la politica economica. Le misure messe in campo dagli ultimi governi non sembra abbiano arrestato in alcun modo la china presa dall’economia anzi sembrerebbe che in alcuni casi l’abbiano peggiorata. La sempre maggiore spinta verso una riduzione delle imposte, misura lodevole se fatta in modo intelligente per spingere investimenti o consumi, è stata portata avanti in modo non equo. Esemplare da questo punto di vista è stata la misura degli “80 euro”, che invece di essere concentrata verso la fascia di popolazione più in difficoltà, nella speranza di rilanciarne i consumi, ha riguardato in modo preponderante il ceto medio-alto, comportando un aumento del risparmio (già fin troppo consistente) più che un rilancio dei consumi. Un’altra evidente carenza nella politica redistributiva è quella data dalla blanda presenza di un’imposta di successione, ritenuta fondamentale dai padri del liberalismo economico ed inoltre, dalla scarsa presenza di imposte patrimoniali, ad eccezione dell’IMU. Ancora più pericolosa potrebbe essere una tassazione fondata su un’uguale imposta per tutti a prescindere dal reddito o dal patrimonio (flat tax).

La traiettoria italiana sulla crescita delle diseguaglianze è comune all’intero occidente, con l’importante eccezione rappresentata dai paesi scandinavi. In condizioni ancora peggiori si trovano gli Stati Uniti, il cui indice di Gini si aggira pericolosamente sulla soglia dello 0,4.

Quello che sembra profilarsi all’orizzonte è una crisi del sistema capitalistico. Il suo fondamento è sempre stato una migliore allocazione delle risorse scarse, in una società in cui viene premiato il merito e stroncato il privilegio. Alla base vi è l’opportunità per tutti di potere migliorare le proprie condizioni grazie a un ascensore sociale efficiente ed equo.

Questo ascensore sembra essersi guastato in questi anni. Il sempre crescente divario della ricchezza sembra avere creato i presupposti per lo sviluppo di una nuova oligarchia che, grazie alla sua capacità di pressione, riesce a tutelare i propri interessi a scapito del benessere sociale. Sembra stia crescendo un nuovo sistema feudale nel quale la ricchezza viene nuovamente ereditata e non guadagnata e nel quale lo Stato abbandona sempre più le sue funzioni riequilibratrici, di welfare, verso posizioni ottocentesche di mera tutela dell’ordine pubblico e dello status quo.