Società matriarcali, nessun dominio femminile ma un rapporto paritario

Spesso si confonde il matriarcato con l’idea di “dominio della donna”. In realtà, in siffatte organizzazioni sociali, ci si basa su una vera e propria partnership uomo-donna, che continua a tener vivo un diverso modello di civiltà per donne e uomini. Le società matriarcali sono comunità di persone basate sulla centralità della figura femminile, in cui permangono i fenomeni della matrilinearità e della matrilocalità. Ad oggi, ne esistono oltre cento nel mondo.

Per matrilinearità si intende un sistema di discendenza per linea materna, nel quale i figli ereditano la posizione sociale e il possesso dei beni dalla madre anziché dal padre; mentre il ruolo del padre risulta prevalentemente affettivo, la madre occupa una posizione di grande potere e prestigio, pur essendo affiancata, in particolare nell’educazione dei figli, da uomini della sua stessa linea di discendenza. Invece, la matrilocalità è la consuetudine secondo la quale la coppia di sposi novelli si stabilisce nel territorio del gruppo sociale cui appartiene la sposa. Le più numerose al giorno d’oggi sono i Minangkabau dell’Indonesia, con tre milioni di persone, seguiti dalla società Mosuo in Cina e da quella Yuchiteca in Messico.

Molti studiosi hanno appurato l’origine matriarcale delle società preistoriche dai ritrovamenti delle cosiddette Veneri, statuine ritrovate in Europa e Asia, risalenti al Paleolitico (ovvero tra 25mila e 20mila anni fa). Per l’attribuzione del sesso femminile alla divinità principale, si deduce la centralità del ruolo delle donne, o quanto meno, non inferiore a quello degli uomini.

Sull’idea di un passato matriarcale dell’umanità, già nel 1800 lo storico Johann Jacob Bachofen sosteneva che alcune diatribe e rappresentazioni in alcuni miti greci non erano il frutto di problemi psicologici con l’altro sesso, ma il ricordo di conflitti sociali veri, che poi portarono al patriarcato, cioè al dominio del maschio sulla femmina. Un esempio è quello di Perseo che uccide Medusa, un’antica matriarca dipinta come un mostro nel racconto mitico. Bachofen affermò che la vittoria della società patriarcale si ebbe quando gli uomini si impossessarono del potere religioso riservato alle donne.

società matriarcali

La studiosa italiana Momolina Marconi confermò l’ipotesi dell’esistenza di una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi – che si sviluppò dalla Puglia alla Sardegna fino alle coste africane e dell’Anatolia – e la cui religione era incentrata sulla Grande Madre Mediterranea.

Nel 2005 a San Marcos, in Texas, archeologi e antropologi da tutto il mondo si sono riuniti in un convegno di “studi matriarcali”, confrontando dati archeologici e osservazioni su alcune popolazioni attuali. Risultato: la civiltà megalitica del Neolitico era incentrata sulle donne.

Fondamentale è uno studio sui Minangkabau di Sumatra, una comunità di circa 4 milioni di persone, condotto dall’antropologa Peggy Reeves Sanday dell’Università della Pennsylvania, dal quale si evincono importanti caratteristiche: i valori dei Minangkabau sono incentrati sulla cura, sui bisogni della comunità invece che sui principi patriarcali di “giustizia divina”, sacrifici e rigide prescrizioni sessuali dettate dall’alto. I valori di cura, i cerimoniali in onore dei cicli della natura e dono discendono da antenate mitiche divinizzate.

Fra i Minangkabau, come negli altri gruppi studiati, è presente una cultura di bilanciamento dei ruoli. Le spose restano a vivere nel villaggio della madre dove l’organizzazione e la cura dei figli è affidata anche agli uomini, in genere fratelli della sposa, zii e nonni.

L’antropologa Heide Göttner-Abendroth, dell’Accademia internazionale Hagia di Winzer, fondatrice dei moderni studi sul matriarcato, ne ha descritto le caratteristiche principali, presenti e passate. «Viene praticata in genere l’orticoltura o una agricoltura di autosostentamento» spiega. «Si vive nel villaggio materno prendendo il nome della madre e se ne ereditano i beni. Ci sono matrimoni di gruppo fra clan e relazioni coniugali basate sulla “visita”, con conseguente libertà sessuale dei partner».

Inoltre i clan matriarcali funzionano su base assembleare: una famiglia manda il suo rappresentante, donna o uomo, all’assemblea del clan. Se non c’è accordo si torna a consultare coloro che hanno dato la delega. Lo stesso succede quando i delegati del clan vanno a un’assemblea di villaggio, oppure quelli del villaggio a una regionale.

La società matriarcale dei Mosuo si distingue da altre società simili perché non pratica il matrimonio. Oggi i Mosuo sono riconosciuti dal governo cinese come minoranza etnica nazionale autonoma. Ogni componente dei diversi clan in cui è suddivisa la popolazione prende il nome della donna più anziana, la “madre del clan”. Allo stesso modo, tra i Mosuo, il titolo di proprietà di una casa e della terra vengono ereditati solo dalla stirpe femminile. Le ragazze diventano membri del clan a 13 anni, dopo una cerimonia di iniziazione con la quale viene conferita loro la chiave della loro camera da letto.

Infine, le donne di Juchitàn, in Messico, sono le stesse a cui si ispirava l’artista Frida Kahlo nel suo abbigliamento. Si tratta di una società matriarcale, una realtà poco conosciuta ma molto interessante. La popolazione indigena della città messicana è riuscita a mantenere la maggior parte dei suoi canoni, nel cuore della società messicana. Si tratta di un esempio straordinario di matriarcato urbano, testimone della solidarietà tra donne, della loro capacità di essere indipendenti e libere rispetto al mondo esterno, rifuggito nonostante i continui tentativi “maschili” di intervenire.

Il valore delle società matriarcali non è soltanto storico: la loro struttura politica, economica, sociale e spirituale può essere di grande importanza per noi occidentali e insegnarci a organizzare e promuovere società non violente e mutuali, dove le donne sono al centro dell’ordinamento sociale senza ricorrere a forme di dominio per guidare la propria comunità.