La partita geopolitica sul default venezuelano

Alla fine il default venezuelano sembra essere arrivato. Alla recente riunione dell’ISDA (International Swaps and Derivatives Association) si è dichiarato il default su cedole per 200 milioni e si è sostanzialmente autorizzata la protezione assicurativa dei “credit default swaps” (CDS) emessi per copertura. Tralasciando lo stato d’insolvenza, che potrà essere più o meno pilotato dalle autorità finanziarie venezuelane, quello che è interessante è il balletto geopolitico che sta avvenendo dietro le quinte.

La maggior parte del debito venezuelano è detenuto da due paesi: Cina e Russia. Entrambi i paesi si stanno prodigando per evitare un default traumatico cercando di mantenere in piedi il paese attraverso dilazioni o trattative economiche. I due colossi privilegiano l’approccio egemonico verso l’area anche a costo di perdite economiche. In realtà, i cinesi hanno un approccio maggiormente pragmatico e hanno ottenuto in cambio delle agevolazioni nella fornitura di petrolio venezuelano. Data l’esposizione complessiva elevata, stanno anche cercando di spingere per politiche economiche che permettano un “ripagamento” del debito, spingendo, in sostanza, verso politiche di austerità interne. Molto più disinteressata, invece, si è dimostrata la Russia che ha un’esposizione marginale rispetto a quella cinese e che ha spinto per una ristrutturazione del debito in un’ottica di vantaggio diplomatico e meno economico.

In questa situazione gli Stati Uniti sembrano immobili. Ben poco è stato fatto sia dall’amministrazione centrale che dalle principali istituzioni finanziarie statunitensi per affrontare la situazione. Non sembra al momento essere stato fatto alcunché neanche per limitare l’attivismo di Cina e Russia nei confronti del Venezuela. Questo probabilmente perché, in parte, la situazione è condizionata dalla scelta del Venezuela di Tareck El Aissami come negoziatore alla ristrutturazione. El Aissami, infatti, è stato accusato da parte delle autorità americane di narcotraffico e questo comporta sanzioni penali, anche rilevanti, per coloro che dovessero decidere di sedersi al tavolo delle trattative con lui per risolvere il problema del debito. Bisogna precisare però, che probabilmente questa ragione non basta a spiegare l’immobilismo statunitense.

Quella che rimane certa è la condizione economica disastrosa del paese con un PIL in picchiata e l’inflazione a livelli “inumani”. Inoltre il continuo calo del prezzo del petrolio non aiuta l’economia del paese a risollevarsi e la guerra civile strisciante non attira investimenti esteri. Il Venezuela sembra essere entrato in un vortice dal quale è difficile venirne fuori.

Francesco Paolo Marco Leti


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