Il silenzio della memoria: la guerra in Ucraina non è mai finita

Di Marco Cerniglia – Quattro anni di guerra senza fine, un conflitto dimenticato che continua a provocare morti. La guerra ucraina del Donbass, il bacino del Donec, continua a mietere vittime e a costringere persone ad abbandonare le proprie case. Il tutto nel totale silenzio dei media. Cosa è successo? Come si è arrivati a questo punto?

L’antefatto di questa guerra civile risale ad una manovra di governo del presidente Viktor Janukovyč, che nel novembre del 2013 si ritrovò a far fronte alla scelta di creare un accordo di libero scambio con la Russia o con l’Unione Europea, avanzando anche una richiesta di aiuti umanitari per un valore di 27 miliardi di dollari.

Da un lato, l’Europa offrì circa 830 milioni, richiedendo anche modifiche ritenute necessarie a leggi e regolamenti in Ucraina, e la liberazione dell’ex primo ministro Julija Tymošenko, finita in carcere per una sentenza da lei stessa definita politica. La Russia, di contro, offriva 15 miliardi in prestiti, oltre a uno sconto sulle forniture di gas e la partecipazione all’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan.

Janukovyč scelse quindi di rifiutare l’accordo europeo, scelta dovuta anche alle forti pressioni economiche dal confine russo, blindato ai commerci con l’Ucraina in seguito all’inizio delle trattative con l’UE.

Questa scelta creò malcontento nella popolazione e diede il via a una serie di proteste, inizialmente pacifiche. Il momento critico arriva nel febbraio del 2014, quando in soli 2 giorni di proteste muoiono 80 persone tra la popolazione e le forze dell’ordine. Circolerebbero anche, per alcuni notiziari, fonti precise secondo cui Janukovyč avrebbe ordinato alla polizia speciale antisommossa “Berkut” di sparare con armi automatiche sui manifestanti subito dopo aver ricevuto 2 dei 15 miliardi promessi da Putin.

Subito dopo questa carneficina, Janukovyč abbandona il palazzo e il suo ruolo, definendo tuttavia la sua fuga “un colpo di stato”, pienamente appoggiato dalla Russia. Alla sua caduta, non senza conseguenze, segue una rapidissima serie di cambiamenti nel sistema sociopolitico dell’Ucraina, non bene accetti alla popolazione filorussa della zona orientale dello stato. Due in particolare risaltano: l’abolizione del russo come lingua in favore dell’ucraino e lo scioglimento della polizia antisommossa filorussa “Berkut”.

In seguito, il clima che si attendeva dopo la fine delle proteste non arrivò mai: prima si avrà la crisi della Crimea, con la cattura dei municipi locali e degli snodi commerciali, ad opera di unità Berkut e soldati russi, e che includerà un referendum unilaterale di annessione alla Russia, accettato apertamente solo dalla stessa. In seguito, nelle regioni di Donec’k e Luhans’k verranno occupati alcuni palazzi governativi dell’Ucraina, portando alla nascita delle due repubbliche indipendenti di Doneck e Lugansk, anch’esse aiutate dalle forze russe e non riconosciute a livello internazionale.

In un primo momento, le due repubbliche miravano a fondarsi nello stato federale chiamato “Nuova Russia”: tuttavia, il progetto fu gradualmente accantonato fino all’abbandono totale. Proprio qui continuano ancora oggi a combattere l’esercito ucraino dell’allora neopresidente Porošenko e le forze insediate nei due stati. E nonostante i numerosi tentativi di riappacificare le due forze combattenti, o almeno di organizzare dei cessate il fuoco, tutto è stato reso vano dalle numerose violazioni di ambedue le parti in combattimento.

I numeri dei coinvolti sono da capogiro: in questa zona, dal 2014, sono morte diecimila persone (tra cui anche reporter), mentre un milione e mezzo di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Chi rimane ignora l’esistenza di cessate il fuoco, non ha idea di chi stia attaccando e prova solo a nascondersi.


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