I migranti bloccati in Libia: atroci sofferenze e violenze prima del rimpatrio

Di Daniele Monteleone – Il passaggio cruciale attraverso la Libia segna la vita di moltissimi migranti che provano a raggiungere l’Europa. Dall’approvazione del nuovo codice per “regolare” il flusso migratorio, la Marina libica è stata maggiormente impegnata nel recupero dei migranti in mare, talvolta fermati dalle stesse imbarcazioni europee e consegnati alle autorità maghrebine. Dal fermo libico al rimpatrio esiste come un vuoto legale, un vuoto di umanità interrotto solo dal volo di linea pagato dall’Unione Europea e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) per tornare nella casa da cui si era fuggiti.

Nonostante ci sia un’intesa che consenta all’Oim e all’Unhcr di entrare in Libia favorendo appunto la politica di rimpatri, oltre a verificare le condizioni nei campi di detenzione, i corridoi umanitari non sono sempre garantiti. Il crollo degli arrivi di immigrati in Italia (da 102.786 del 2016 a 33.288 di quest’anno) è l’effetto del salvataggio e del respingimento con la collaborazione delle navi libiche, oltre che del rafforzamento dei controlli in terra africana per arrestare i “viaggiatori della speranza”. Ma fermare questo viaggio non significa solo salvare molte vite dalle tragedie in mare: vuol dire anche portarle direttamente all’inferno. Il rimpatrio, sperato anche per lungo tempo, avviene in molti casi dopo prigionia e sofferenze.

Come la storia di un numeroso gruppo di nigeriani, bloccati ancora prima di raggiungere il mare. C’erano anche molti bambini piccoli quando sono stati bloccati in Libia nel tentativo fallito di raggiungere l’Europa. I 250 migranti nigeriani sono tornati a casa ma hanno raccontato storie di abusi e paura.

«Se ti rinchiudono in una stanza, riesci a malapena a mangiare, questa è la prima cosa» dice uno dei rimpatriati, atterrato a Lagos, la più grande città nigeriana e la più vasta d’Africa. «Urinerai lì, ti faranno defecare lì e ogni mattina, anche tre volte al giorno, sarai picchiato duramente» fino a quando sarà possibile avere il denaro necessario per essere liberati.

L’arrivo in aeroporto, in Nigeria, lascia sbigottiti per le condizioni dei rimpatriati. «È straziante, soprattutto quando vedo una tredicenne ritornare con un bambino», dice Abike Dabiri-Erewa, assistente speciale per gli Affari Esteri del presidente della Nigeria. «Una ragazza di 14 anni ci ha raccontato che non sa quanti uomini hanno dormito con lei, non riesce a contarli – rivela l’assistente nigeriano – li guardi e ti chiedi se le loro vite possano rimanere sempre le stesse».

E non si tratta di alcune centinaia di storie: coloro che sono tornati nel paese di provenienza finora sono appena 13 mila; tra 400 mila e 700 mila migranti africani si trovano sparsi per le dozzine di campi di prigionia in Libia, spesso in condizioni disumane, così come dichiarato giovedì scorso dal presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, durante un vertice tra leader europei e africani.

Un altro nigeriano recentemente rimpatriato racconta la sua “storia dell’orrore”: «Ho pagato 500 mila naira (circa 1600 dollari) a un nigeriano – presentatosi sotto falso nome – per facilitare il mio viaggio illegale verso l’Europa attraverso la Libia attraverso il Mar Mediterraneo. Ma per raggiungere la Libia, ha abbandonato tutti noi al nostro destino». Ha anche raccontato che all’arrivo in Libia lui e gli altri compagni di viaggio sono stati arrestati da membri della milizia libica e tenuti in una prigione improvvisata dove sono stati «torturati e affamati». Solo l’intervento dell’Oim lo ha salvato, ed è stato rimpatriato quasi immediatamente. Di questo gruppo, però, più di dieci nigeriani, incluse alcune ragazze, sono stati venduti come schiavi in una delle scandalose aste denunciate da uno sconvolgente reportage della Cnn

Amnesty International ha duramente criticato l’Europa, affermando che il suo obiettivo principale è quello di chiudere la rotta del Mediterraneo e lasciare centinaia di migliaia di migranti intrappolati in Libia e in balia di orribili abusi. John Dalhuisen, Direttore per l’Europa di Amnesty International, ha dichiarato: «I piani che organizzano prioritariamente il ritorno “volontario” di persone bloccate in Libia verso il loro paese di origine senza un sistema efficace per valutare e soddisfare le richieste di asilo o offrire più posti di reinsediamento, finiranno per essere il meccanismo per la deportazione di massa».


 

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