Margaret Thatcher, lady dal pugno di ferro e lungimirante euroscettica

Di Rita Blandino – Parlando di donne che hanno lasciato un segno nella storia, non si può prescindere dal considerare una figura come Margaret Thatcher, primo ministro britannico dal 4 maggio 1979 al 28 novembre 1990.

Molti considerano storico il semplice fatto di aver visto per la prima volta una donna ottenere la leadership del partito conservatore e la carica di primo ministro, dato che nessuna donna aveva mai avuto tale ruolo. In realtà ciò che contraddistinse la Thatcher fu il modo graduale ma allo stesso tempo dirompente con cui si affermò su un panorama, quello britannico, ancora scettico nei confronti di donne forti ed emancipate.

Il suo percorso in effetti la vide sempre attenta alle questioni politiche, anche per la presenza di una figura paterna che seppe da sempre la spinse a  esprimere il proprio pensiero con convinzione e determinazione. Furono proprio questa fiducia in sé stessa, la sua schiettezza ed irremovibilità a garantirle presto un ruolo da “prima donna” nel contesto politico inglese.

Essendo stata l’unico primo ministro britannico a restare in carica per ben tre mandati, le realtà che dovette fronteggiare furono molto variegate e complesse.

Il suo sguardo fu soprattutto rivolto all’economia, messa a dura prova da un difficile periodo di recessione. Un problema che il primo ministro cercò di risolvere attraverso varie manovre, tra cui: la deregolamentazione del settore finanziario, dei mercati e del lavoro, la privatizzazione delle aziende che fino a quel momento erano state sotto il controllo statale, un’azione mirata alla riduzione del potere dei sindacati e l’aumento della tassazione indiretta.

A causa di un continuo aumento della disoccupazione, della tassazione e della nascita di monopoli e oligopoli, Thatcher dovette affrontare una dura risposta popolare che aveva interpretato le sue manovre come la causa principale del peggioramento delle condizioni delle classi popolari.

A queste realtà complesse e spesso contrastate seguirono altre dinamiche che invece le garantirono il consenso, fra queste la vittoria della guerra scoppiata nelle isole Falkland a seguito della rivendicazione da parte del governo argentino di avere il pieno controllo dell’area e la lotta contro gli attacchi terroristici degli estremisti repubblicani irlandesi. Tutti eventi che portarono presto alla coniazione dell’appellativo di Lady di ferro.

Tuttavia, se da un lato questo modo di essere le garantì la permanenza a Downing Street, dall’altro la portò a perdere consenso durante il suo terzo ed ultimo mandato. In effetti fu proprio in questo periodo che cominciarono a venire fuori voci divergenti rispetto alle idee della Iron Lady, soprattutto in connessione alla poll tax e al suo euroscetticismo.

La prima fu subito criticata, dal momento che si trattava di un’imposta patrimoniale calcolata in base alla popolazione e non in base al reddito e che dunque si sarebbe imposta ugualmente su tutti gli strati sociali; il secondo punto a suo sfavore fu connesso invece alle sue idee anti-europeiste che la portarono a distanziarsi dall’Unione Europea, cercando di mantenere una posizione di autonomia che però venne interpretata dai suoi sostenitori come un’azione che rischiava di isolare l’intero paese. Da qui iniziò il suo declino e la perdita progressiva di consenso, tutti aspetti che dopo 11 anni e mezzo la portarono a ritirarsi dalla scena politica con grande rammarico.

La Signora di ferro, in seguito insignita del titolo di baronessa con diritto a sedere a vita presso la camera dei Lord, morì a Londra l’8 aprile del 2013, lasciando un’impronta indelebile nella storia del Regno Unito.


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