Dalla pacatezza al Far West: il cambiamento americano da Obama a Trump

La “strategia della pazienza” è un’espressione con cui i giornali di tutti il mondo ed esperti avevano definito l’approccio diplomatico usato da Barack Obama nei confronti dei cosiddetti “paesi canaglia” come Iran, Cuba e Corea del Nord; a meno di un anno dalla fine del suo mandato è scomparsa, sotterrata e sostituita da una più ruspante e aggressiva politica scelta dal neo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Il Tycoon ha posto fine alle trattative del suo predecessore e ha dato il via a una lunga stagione di veleni contro i propri “avversari” internazionali contraddistinta da tweet al vetriolo, offese, minacce e nuove sanzioni applicate attraverso l’ONU.

La Penisola coreana è stata la prima ad essere investita dall’ira del milionario che, nonostante in campagna elettorale avesse più volte ribadito le sue posizioni isolazioniste, ha finito per farne il cardine della propria amministrazione. D’altro canto Kim Jong-Un ha fatto di tutto per meritare tanta attenzione spedendo missili intercontinentali e testando ordigni nucleari in lungo e in largo per il mare del Giappone.

Nonostante il mezzo secolo di voluta chiusura con il mondo occidentale e con il gigante americano, il regime di Kim Jong-Un era stato etichettato da Barack Obama come “vicino al collasso” e la sua strategia di distensione e attesa nei confronti del dittatore si inquadrava proprio in questa visione. Se non fosse però che i tentativi diplomatici del primo presidente afro degli USA si siano rivelati infruttuosi soprattutto alla soglia dell’entrata alla Casa Bianca di Donald Trump.

Secondo i più informati infatti l’ex numero uno statunitense pochi giorni prima del suo abbandono aveva intavolato trattative per riallacciare i rapporti con la dittatura asiatica; ma l’azione si è rivelata debole e il 6 gennaio 2016 Kim aveva chiarito le sue intenzioni riguardo la pace lanciando la prima bomba all’idrogeno del proprio arsenale. Durante il loro unico colloquio face-to-face era stato lo stesso Obama a fissare in cima alla lista delle situazioni da risolvere del neo presidente Trump, che sin dai suoi esordi a capo del paese ha preso in carico la grave crisi e ha risposto alle provocazioni del giovane dittatore nel suo stile, con aggressività e rompendo ogni forma di dialogo.

La strategia della pazienza si è trasformata quindi in un’escalation di minacce e insulti reciproci: in pochi mesi Kim è stato trasformato in un «Rocket Man» (uomo razzo), pazzo, senza nessuna moralità, colpevole di dissanguare la popolazione a fronte del progetto di ampliamento di un programma nucleare senza precedenti per il proprio paese.

Le reali differenze tra le due amministrazioni stanno proprio nelle contromisure economiche intraprese dal 45° presidente americano: a ogni nuovo lancio da parte del dittatore di missili intercontinentali e ordigni atomici, il Tycoon ha risposto chiamando a raccolta gli alleati asiatici e facendo approvare all’ONU durissime sanzioni. Attualmente il paese coreano è stato sanzionato, con l’avallo dell’alleato cinese a cui è legato da un patto ventennale di mutua assistenza sin dal 1961, in quasi tutti i settori della propria economia, da quello manifatturiero e petrolifero fino all’emigrazione dei lavoratori nordcoreani – preziosa manodopera a basso costo – in terra straniera.

Nonostante la volontà di mantenere un canale diplomatico aperto, confermata a più riprese anche dal segretario di Stato americano Rex Tillerson, la Corea del Nord è isolata e stretta in un angolo e il conseguente e progressivo inasprimento dei rapporti potrebbe trascinare le parti ad una guerra nucleare dall’esito quanto mai incerto. La strategia perseguita dai due inquilini della Casa Bianca è soprattutto figlia dell’indole dei due uomini al potere: mentre Obama ha sempre seguito la via della pace e delle trattative in modo pacato e senza mai affondare il colpo ricorrendo a qualche attacco informatico per bloccare o far fallire i programmi missilistici di Kim, Trump ha invece mostrato un’indole da uomo del Far West che alle parole preferisce i fatti e che a una pistola puntata risponde armando l’artiglieria e riproponendo l’allargamento del proprio arsenale nucleare.    

Gabriele Imperiale