Shay Frisch, nobile semplicità e quieta grandezza

Dal 6 ottobre al 19 novembre 2017, all’interno del Polo Culturale dei Cantieri della Zisa, presso la prestigiosa sede espositiva ZAC_ Zisa Arti Contemporanee, l’Assessorato alla Cultura della Città di Palermo presenta al pubblico le monumentali installazioni luminose ‘Campo 121745_B/N’ dell’artista israeliano Shay Frisch. La mostra è organizzata dall’associazione MESIME, in collaborazione con la Fondazione Orestiadi e Agorà.

Dopo le sue ultime importanti esposizioni al Museo Mac di Lima, al Museo MAC di Santiago del Cile e alla Fondazione San Fedele di Milano, approda a Palermo per avvolgere il pubblico siciliano con un abbraccio di energia.

Shay Frisch, classe 1963, incontra l’arte quasi per caso. Ex industrial designer, acquisisce il master alla Domus Accademy di Milano nel 1990 e in seguito conosce Plinio De Martiis della Galleria La Tartaruga di Roma che lo convince a partecipare ad una mostra collettiva. E da lì comincia la sua sperimentazione. Achille Bonito Oliva, curatore della mostra scrive: «(…) Shay Frisch conferma la linea di ricerca primaria condotta dalla Minimal Art, con un’analisi degli elementi fondanti pittura e scultura: luce e spazio. L’istallazione e le opere a parete evidenziano tale analisi, con una rappresentazione essenziale e fenomenica di questi due poli dell’opera come avvento concreto. La luce viene evidenziata, resa volumetrica per un assetto formale che la inquadra e la inscatola concretamente nello spazio.»

Come un mago manipola e controlla gli elementi, così l’artista dialoga con la componente magnetica ed energetica, utilizzando la luce come elemento compositivo, che incorona con un aura quasi mistica le sue ambientazioni/installazioni. Le sue opere sono sostanzialmente assemblaggi di componenti elettriche, che montate insieme modulano e imbrigliano l’energia del lavoro. Come spiega l’artista: «L’elettricità scorre in tutto il costrutto e prende forma. È una modulazione di componenti che richiede un lavoro di montaggio e smontaggio con tempi molto lunghi. Ogni opera ha una scheda tecnica con tutte le istruzioni per la modulazione e il montaggio. Ogni volta è come cucirla e scucirla dalla parete.»

L’esperienza con la mostra. Entrando all’interno del padiglione ci si relaziona con una grande unica opera che parte con una lunga corsia centrale di elementi modulari incastonati tra loro con al centro un unico led rosso. L’opera spezzata a metà da una geometria precisa “al millimetro” realizzata sempre con lo stesso pattern, riprende poi il suo percorso verso il punto finale: la grande luce sulla parete. Questo grande elemento circolare ricorda un portale temporale, una sorta di stargate o quella iconica “luce in fondo al tunnel”.

L’allestimento di questo ambiente – poiché si tratta di una sola grande opera ambientale – è ineccepibile: metodica, meticolosa, simmetrica e pulita. La grande precisione può spaventare, e tutto il contesto risulta un po’ freddo. Di certo l’opera desta un grande stupore nei primi 40 secondi di osservazione, per poi lasciare il posto a una pacata sensazione. Consiste in una luce statica, che non vibra e non si propone di travolgere lo spettatore. Ma sta lì, immensa e ferma a farsi ammirare nella sua perfezione. In questo è molto simile alle bianche sculture in marmo che ‘condiscono’ le gallerie di arte moderna: belle e perfette su cui lo sguardo si posa brevemente non essendo un Canova o un Michelangelo. Winckelmann avrebbe di certo gradito l’opera nella sua composta perfezione. Se l’installazione di Shay Frisch fosse stata di un Lucio Fontana o di un Dan Flavin, avrebbe scosso di più l’anima del visitatore medio, abituato alle mostre blockbuster.

Shay Frisch, parlando dell’esperienze del pubblico in relazione al suo lavoro: «L’esperienza mi dice che ogni spettatore ha pensieri e coinvolgimenti diversi di fronte alle mie opere. Non nego che mi faccia piacere quando il visitatore vive e comprende l’aspetto energetico del mio lavoro. Spero in un coinvolgimento emotivo, persone che siano sensibili a questo tipo di linguaggio, a questo tipo di racconto.»

Ai molti che necessitano di spasmi emotivi per giudicare in positivo un’opera d’arte, forse non piacerà il lavoro di questo artista, legato più alla sfera minimalista e all’insutrial design. Non si scomoderanno a ricordare che un gesto artistico può non solo provocare svenimenti, ma grande rumore di fondo o addirittura nulla. Dopotutto, citando il grande maestro della rottura con il passato, Marcel Duchamp: «Il grande nemico dell’arte è il buon gusto.» 

Virginia Monteleone